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Nanoscale Effects within Biological Membranes caused by Radiation

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Le differenze che ci accomunano: le membrane cellulari fungono da biomarcatori per gli organismi viventi

Le prove della vita su altri pianeti rappresentano una sorta di Sacro Graal non solo per gli scienziati, ma anche per la maggior parte di noi. Una nuova tecnologia per lo studio dei sistemi di membrane modello sulla Terra si sta dirigendo verso lo spazio in cerca della verità.

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Sono attualmente in corso diverse missioni di esplorazione dello spazio intraprese dalla NASA, l’Agenzia spaziale europea (ESA) e altre agenzie spaziali stanno cercando tracce di vita in altri punti del cosmo e Marte risulta essere il primo obiettivo. Oltre alle competenze di carattere tecnico e analitico, gli scienziati devono sapere cosa stanno cercando, che cos’è una traccia di vita persino in un campione che non è più vivente. Le membrane cellulari o i loro residui rappresentano dei candidati eccellenti. Con il sostegno del programma Marie Skłodowska-Curie, MSCA, il progetto NanoMembR ha applicato nuovi metodi spettroscopici per caratterizzare membrane modello complesse in condizioni di degrado simili a quelle che caratterizzano Marte. Le conoscenze acquisite e le tecniche sviluppate saranno presto sfruttate su due piattaforme di esplorazione spaziale che l’ESA sta attualmente sviluppando.

Ciò che distingue gli organismi viventi dalle molecole inorganiche

La compartimentazione è necessaria alla vita. Tutta la vita sulla Terra si fonda sulle cellule che separano il proprio interno dall’ambiente circostante tramite una membrana semipermeabile costituita da molecole lipidiche. È proprio questo che rende le membrane cellulari ottimi biomarcatori universali della vita per come la conosciamo. Inoltre, data la loro natura bipolare caratterizzata da un’estremità idrofobica e l’altra idrofila, i lipidi sono ideali per «creare» la vita poiché si auto-assemblano in un doppio strato all’interno di un ambiente acquoso (dove l’acqua rappresenta un altro «marcatore» della vita). In aggiunta, sebbene sian spessi solo qualche nanometro, le membrane e i frammenti di membrana sono molto robusti e possono resistere per lunghi periodi di tempo senza degradarsi in maniera sensibile come accade invece nel caso del DNA e di altre molecole.

Vita e morte nello spazio

Secondo Andreas Elsaesser dell’Università libera di Berlino e borsista del programma MSCA: «L’obiettivo principale del progetto NanoMembR era quello di studiare come i condizionamenti ambientali che imitano, ad esempio, le condizioni di Marte definiscano i percorsi di decomposizione in membrane modello sempre più complesse di diverse composizioni». NanoFTIR, la spettroscopia a infrarossi in Trasformata di Fourier, abbina una risoluzione spaziale estremamente elevata al potere analitico per effettuare l’identificazione chimica su nanoscala. La microscopia ottica a scansione in campo vicino per dispersione (s-SNOM) consente l’immaginografia spettroscopica con risoluzione spaziale ben al di sotto del limite di diffrazione. Adoperando queste tecniche, Elsaesser è riuscito non solo a monitorare la stabilità delle membrane dal punto di vista spettroscopico, ma anche a studiare i cambiamenti strutturali su nanoscala. Secondo Elsaesser: «La stabilità delle membrane è fortemente influenzata dalla loro composizione molecolare e da fattori ambientali. L’ossigeno in combinazione con la radiazione a ultravioletti rappresenta un fattore chiave per la decomposizione delle membrane». Questi risultati sono attualmente in via di preparazione per essere pubblicati. Altrettanto importante è il fatto che il progetto NanoMembR abbia consolidato nanoFTIR come un nuovo strumento per esaminare le membrane e abbia dimostrato la sua applicazione su membrane sia naturali che artificiali. Proprio quest’ultima ha fortuitamente aperto il varco al suo impiego per analizzare veri e propri campioni spaziali.

In partenza verso il laboratorio della natura nel cielo

Gli esiti sono inclusi all’interno di due piattaforme di esposizione spaziale che l’ESA sta attualmente sviluppando. I «laboratori», esterni alla Stazione spaziale internazionale o sotto forma di nanosatelliti a volo libero, combinano i vantaggi di un’esposizione prolungata con il monitoraggio in situ in tempo quasi reale. La piattaforma Exocube farà parte della nuova struttura di esobiologia dell’ESA situata fuori dalla Stazione spaziale internazionale nella bassa orbita terrestre. SpectroCube è una piattaforma di esposizione spaziale in situ miniaturizzata a volo libero basata su CubeSat che si trova in un’orbita altamente ellittica intorno alla Terra per effettuare ricerche di carattere astrochimico e astrobiologico. I risultati provenienti dal progetto NanoMembR potrebbero aiutarci a identificare gli obiettivi di ricerca per missioni dedicate alla rilevazione della vita nel nostro sistema solare e non solo.

Parole chiave

NanoMembR, vita, spazio, membrana, ESA, degrado, nanoscala, in situ, cellula, spettroscopico, orbita, spettroscopia a infrarossi in Trasformata di Fourier su scala nanometrica (nanoFTIR), Marte, microscopia ottica a scansione in campo vicino per dispersione (s-SNOM), ultravioletto

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