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Contenuto archiviato il 2023-03-06

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Continua lo sfruttamento eccessivo delle zone di pesca

Le zone di pesca non solo forniscono proteine animali per il consumo umano, danno anche lavoro, direttamente ed indirettamente, a circa 200 milioni di persone in tutto il mondo. Ma un rapporto pubblicato dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltu...

Le zone di pesca non solo forniscono proteine animali per il consumo umano, danno anche lavoro, direttamente ed indirettamente, a circa 200 milioni di persone in tutto il mondo. Ma un rapporto pubblicato dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) fa presente che il 52% delle zone di pesca sono sfruttate al massimo e che il 28% sono sfruttate eccessivamente o si sono già esaurite. Adesso uno studio, finanziato dall'UE e pubblicato sulla rivista PLoS Biology, offre ai lettori un nuovo punto di vista su come le pratiche di gestione influenzano la sostenibilità delle zone di pesca. I risultati dello studio fanno parte del progetto ECOFUN ("Analisi dei cambiamenti della biodiversità sulle proprietà strutturali e funzionali degli ecosistemi marini sotto fattori di stress umani"), finanziato con 212.125 milioni di euro nell'ambito dell'Azione Marie Curie "Borsa di studio internazionale all'estero per lo Sviluppo della carriera" del Settimo programma quadro (7° PQ). Lo studio ha esaminato l'efficienza dei regimi di gestione mondiali delle zone di pesca usando le valutazioni di 1.200 esperti di zone di pesca ed analizzandole insieme ai dati sulla sostenibilità del pescato nelle zone di pesca. La maggior parte di questi regimi non raggiunge gli standard stabiliti dalle organizzazioni internazionali, secondo il rapporto. Il passaggio partecipativo e trasparente di pareri scientifici alla politica aiuta a determinare la sostenibilità delle zone di pesca. "Forse il risultato più notevole della nostra inchiesta è che non c'è un solo paese al mondo che rispetti tutti i requisiti di gestione," ha spiegato il dott. Camilo Mora della Dalhousie University in Canada e dell'Università della California San Diego negli Stati Uniti. "Quindi quali paesi si comportano bene e quali no è una domanda la cui risposta dipende dallo specifico requisito che si prende in considerazione." Il dott. Mora ha continuato dicendo che le zone di pesca del mondo sono uno dei beni naturali più importanti per il genere umano. "Sfortunatamente l'uso che abbiamo fatto delle zone di pesca mondiali è stato eccessivo ed ha condotto al declino o al collasso di molte riserve," ha aggiunto. Da parte sua, il co-autore del rapporto, il professor Boris Worm della Dalhousie University, ha detto: "Le conseguenze dello sfruttamento eccessivo delle zone di pesca del mondo sono motivo di preoccupazione non solo per la sicurezza alimentare e per lo sviluppo economico ma [anche] per gli ecosistemi oceanici. Adesso riconosciamo che lo sfruttamento eccessivo può anche condurre all'erosione della biodiversità e della produttività dell'ecosistema." Il dott. Mora ha sottolineato che le diverse conseguenze socioeconomiche ed ecologiche collegate alla diminuzione nel numero del patrimonio ittico sta causando molta preoccupazione in tutto il mondo. Sono state avanzate anche diverse iniziative per garantire che "i paesi migliorino il modo in cui usano le risorse marine", ha detto. "Tra queste iniziative ricordiamo il Codice di condotta per la pesca responsabile delle Nazioni Unite, la Convenzione sulla diversità biologica e la Valutazione degli ecosistemi del millennio," ha detto il dott. Mora. "Sebbene queste iniziative siano state sottoscritte dalla maggior parte dei governi, continua a mancare una valutazione globale su quanto questi ideali siano in realtà applicati ed effettivi." Nonostante la superiorità scientifica e le maggiori capacità di imposizione rispetto alle nazioni più povere, i paesi più ricchi devono confrontarsi con le ripercussioni negative delle sovvenzioni eccessive e della maggiore capacità di pesca. Quest�ultima è dovuta ai potenziamenti delle flotte nazionali. Lo studio ha dimostrato che alle nazioni più povere mancano una scienza forte e le capacità di imposizione ed hanno anche meno capacità di pesca, ma esse hanno inoltre venduto in modo sproporzionato i diritti di pesca a paesi che non hanno questi svantaggi. Su scala globale, flotte straniere provenienti da UE, USA, Giappone, Corea del Sud e Cina svolgono la maggior parte delle attività di pesca.

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