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Trasformare i rifiuti organici urbani in plastica biodegradabile

Nell’ambito dell’economia circolare, le pellicole di imballaggio biodegradabili e altri prodotti di bioplastica possono essere fabbricati a partire da rifiuti domestici e urbani.

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Gli impianti pilota in Italia e Portogallo istituiti con finanziamenti dell’UE hanno realizzato un biopolimero biodegradabile dai rifiuti che può essere utilizzato per produrre bioplastiche. «Una volta ottenuto il polimero, che rappresenta la novità del processo, è possibile utilizzare le tipiche tecniche di lavorazione delle materie plastiche per trasformarlo in prodotti per usi diversi», afferma Mauro Majone, coordinatore del progetto RES URBIS e professore di ingegneria chimica presso l’Università di Roma La Sapienza. Diverse colture microbiche producono questo tipo di polimero all’interno delle cellule quando sono «stressate». «Sotto lo stress del digiuno alternato alla carestia ottenuto alimentando le cellule in modo intermittente, il microbo preferisce conservare il substrato al suo interno sotto forma di un granello di polimero», spiega Majone. Il biopolimero, conosciuto con il nome di polidrossialcanoato o PHA: «Aggiunge valore ai rifiuti e allo stesso tempo produce materie plastiche prive di petrolio e biodegradabili, che possono sostituire le attuali materie plastiche a base di petrolio», afferma Majone. Attualmente questi polimeri sono prodotti dalle colture impiegando colture pure, il che può risultare dispendioso. Tuttavia, il gruppo responsabile del progetto ha sviluppato un nuovo processo che utilizza i fanghi delle acque reflue, disponibili in grandi quantità. Sono stati testati diversi tipi di materie plastiche utilizzate per l’imballaggio e per i beni di consumo durevoli. «Abbiamo prodotto pellicole di imballaggio e un prototipo in plastica rigida per un manico che richiede solo una piccola quantità di polimero e può essere utilizzato per trasportare scatole di cartone. Ma in linea di principio qualsiasi altra plastica rigida può essere fabbricata in questo modo», afferma Majone. Inoltre, il gruppo del progetto ha scoperto che la pellicola di PHA possiede proprietà adesive e può essere adoperata negli imballaggi multistrato. «Di solito le pellicole multistrato hanno bisogno di uno strato sottile di adesivo, che spesso contiene poliuretani a base di polimeri di petrolio non biodegradabili. Adesso è possibile sostituirli con questo polimero biocompatibile, proveniente da fonti rinnovabili e di natura variabile», afferma Majone.

Progetti pilota

Nel corso di questo progetto di 3 anni, la produzione del PHA è stata ampliata, passando dal laboratorio agli impianti pilota. Una bioraffineria pilota situata a Treviso impiega carbonio organico per la raccolta differenziata dei rifiuti urbani selezionati sul luogo di produzione e dei fanghi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue. L’altro impianto pilota a Lisbona, in Portogallo, utilizza diversi rifiuti organici provenienti dalla lavorazione degli alimenti, in particolare dall’estrazione del succo di frutta disponibile nelle vicinanze. «Abbiamo capito che il processo è abbastanza stabile e robusto per far fronte al fatto che i rifiuti non hanno un carattere molto stabile e possiedono una certa eterogeneità ed è in grado di produrre un polimero di buona qualità », afferma Majone.

Analisi di costi e benefici

Per essere economici, i rifiuti devono trovarsi nelle prossimità per evitare lunghi tragitti e il trattamento dovrebbe essere adattato alle condizioni locali. Il gruppo del progetto ha condotto un’analisi tecnico-economica dei sistemi di gestione dei rifiuti in diverse parti d’Europa, tra cui Barcellona, Copenaghen, Lisbona, Trento e nel Galles meridionale. «Volevamo integrare la nostra nuova soluzione nell’attuale gestione dei rifiuti per sfruttare ciò che è già in atto», spiega Majone. Un problema di carattere normativo riguarda i contaminanti nei rifiuti che possono trasferirsi al prodotto. «Abbiamo analizzato oltre 100 diversi tipi di contaminanti di tre famiglie», afferma Majone. «Il nostro materiale soddisfa gli standard normativi, pertanto non è necessario aggiungere alcun passaggio specifico per rimuovere i contaminanti». «Abbiamo seguito il principio dell’economia circolare per gli imballaggi, la necessità normativa di una cosiddetta “cessazione della qualifica di rifiuto”, per cui quest’ultimo non risulti più un rifiuto, bensì un prodotto. Abbiamo preparato un fascicolo per dimostrarlo», osserva, sebbene ciò debba essere approvato paese per paese quando si è prossimi alla commercializzazione. Il passo successivo consiste nella realizzazione di un impianto dimostrativo per produrre diverse tonnellate di polimero all’anno.

Parole chiave

RES URBIS, polimeri, biopolimero, plastica biodegradabile, acque reflue, fanghi, pellicole di imballaggio, rifiuti organici, gestione dei rifiuti

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