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Treatment of traumatic brain injury using dye-loaded polymeric nanoparticles

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Brillanti nanoparticelle gettano luce sul trattamento delle lesioni cerebrali

Una tecnica rivoluzionaria impiega la luce per tracciare le nanoparticelle iniettate che trasportano i farmaci al cervello. Ciò potrebbe condurre a trattamenti più efficaci e mirati delle lesioni cerebrali traumatiche.

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La lesione cerebrale traumatica è una delle principali cause di morte, in particolare tra bambini e giovani adulti. Le lesioni possono essere provocate da un colpo alla testa o da movimenti improvvisi che scuotono il cervello all’interno del cranio. Uno dei motivi per cui sono così comuni è dovuto al fatto che possono verificarsi in numerose situazioni, che vanno da una semplice caduta a un incidente stradale. «Il cervello è incapsulato all’interno di una sorta di scatola», spiega Nikolaus Plesnila, coordinatore del progetto NEUROTARGET e docente di ricerca sperimentale sugli ictus presso l’Università Ludwig-Maximilians di Monaco di Baviera, in Germania. «Questo significa che non ha molto spazio a disposizione per espandersi: quando ciò avviene a seguito di una lesione, il rischio è che i vasi sanguigni siano compressi, arrestando il flusso sanguigno al cervello, il che può condurre alla morte». Per i neuroscienziati, comprendere quanto avviene all’interno di questo spazio incapsulato senza aprirlo rimane una grande sfida. A ciò si aggiunge la difficoltà di prevedere la progressione delle lesioni cerebrali: alcuni pazienti subiranno danni di breve durata, mentre altri possono sperimentare un uso della parola più lento e sbalzi di umore nel corso della vita.

Un’idea brillante

Un settore di interesse clinico nel trattamento delle ferite cerebrali traumatiche è il ricorso a nanoparticelle per la somministrazione diretta di farmaci al cervello. Un vantaggio chiave offerto da queste piccole particelle è la loro capacità di attraversare la barriera emato-encefalica, una membrana composta da cellule che regola strettamente l’accesso delle molecole al cervello. «Tuttavia, non si conosce molto sul suo funzionamento», afferma Igor Khalin, borsista del programma di azioni Marie Skłodowska-Curie e ricercatore presso l’Università Ludwig-Maximilians di Monaco di Baviera. «Disponiamo di conoscenze relative al farmaco che somministriamo e possiamo vedere se esercita un effetto sulle cellule neuronali. Ma cosa accade davvero nel mezzo? In che modo funziona la barriera emato-encefalica?». Per rispondere a questi interrogativi, il progetto NEUROTARGET ha sviluppato nuove tecniche per aiutare i neuroscienziati a vedere cosa accade nel cervello. Khalin ha combinato le competenze del laboratorio neurologico di Plesnila con le ultime ricerche relative alla biofotonica. «La mia idea era quella di unire questi due ambiti di ricerca», spiega. «Volevo prendere nanoparticelle cave e riempirle di materiale biofotonico luminoso».

Attraversare la barriera

Una volta iniettate nel tessuto, il team ha potuto seguire le nanoparticelle mentre attraversavano la barriera emato-encefalica. «La tecnica di Igor può essere paragonata a una torcia in mezzo a un bosco di notte», osserva Plesnila. «Se osservata da molto lontano, la fonte luminosa appare enorme, ma quando ci si avvicina, ci si rende conto che la torcia è in realtà piccola e ciò che si vede è solo l’alone della luce». Sebbene le particelle siano troppo piccole per essere osservate attraverso un microscopio convenzionale, i neuroscienziati possono seguire la luce che emettono impiegando la fluorescenza a due fotoni. «Per la prima volta, abbiamo dimostrato come sia possibile seguire queste piccole nanoparticelle», afferma Plesnila. Questa capacità di seguire le nanoparticelle dall’iniezione fino al cervello apre le porte a grandi opportunità. Ad esempio, i neuroscienziati possono avvalersi della tecnica per valutare il momento e il luogo più efficaci per i mezzi di iniezione e per comprendere meglio il comportamento della barriera emato-encefalica. «Le prossime fasi consistono nel trasferire questi risultati all’ambiente clinico», aggiunge Plesnila. «Vogliamo caricare queste particelle con farmaci, per comprendere in che modo possiamo intervenire sulle lesioni cerebrali con maggiore precisione, con l’auspicio che ciò conduca a trattamenti migliori». Plesnila e il suo team stanno inoltre esaminando l’uso di nanoparticelle biocompatibili e biodegradabili che si disciolgono naturalmente nel corpo una volta somministrati i farmaci.

Parole chiave

NEUROTARGET, nanoparticelle, cervello, cranio, lesione, biofotonica, neurone, neurologico

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