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PHOTONIC BIOSENSOR FOR SPACE APPLICATION

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Lab-on-chip per la ricerca di segni di vita nello spazio

Immaginate un enorme laboratorio biochimico pieno di persone e attrezzature rimpicciolito fino a riuscire a stare su un piccolo chip delle dimensioni di una moneta da un centesimo. Alcuni ricercatori finanziati dall’UE hanno personalizzato tale lab-on-chip per eseguire test biochimici e altre ricerche nello spazio.

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La tecnologia dei lab-on-a-chip permette di eseguire analisi biochimiche, in precedenza svolte su grandi attrezzature da laboratorio, su un piccolo vetrino con valvole e canali, conosciuti come capillari microfluidici. I campioni e i reagenti vengono miscelati, separati e controllati usando circuiti elettrici integrati nel chip. Gli attuali dispositivi commerciali non sono progettati per il funzionamento nello spazio. Il progetto PBSA (Photonic biosensor for space application) ha sviluppato una serie di chip assieme a un regolatore e un’unità di analisi miniaturizzati per il rilevamento della vita nello spazio. Questi dispositivi consentono di testare i geni e il DNA responsabili della determinazione delle caratteristiche di un particolare organismo. I chip sono stati fatti con la stessa tecnica di micro fabbricazione usata per stampare i circuiti sui chip dei computer: l’integrazione fotonica. I circuiti integrati fotonici che hanno unito componenti separati, compresi commutatori ottici e AWG (Arrayed Waveguide Gratings), hanno consentito una miniaturizzazione eccezionale che ha determinato costi minori e una maggiore efficienza. A tal fine, i partner PBSA hanno perfezionato il processo di produzione degli elementi costitutivi dei lab-on-chip. Nell’ambito dei nuovi dispositivi, hanno costruito una rete di canali con camere multiple di reazione e rilevamento per testare simultaneamente differenti biomarcatori molecolari. Gli elementi microfluidici funzionali sono stati integrati con reagenti quali anticorpi di rilevazione e molecole degli analiti. Con un peso di poco superiore a 1 kg e dimensioni che non superano i 13x13x15 cm, il primo prototipo è stato sottoposti a rigorosi test. Per farsi strada fin nello spazio, questo dispositivo singolare ha dimostrato di poter sopportare radiazioni e temperature estreme, funzionare con poca energia, ed eseguire analisi delicate rapidamente con interventi e manutenzione minimi da parte dell’utente. Ad oggi, gli strumenti progettati per il rilevamento dei biomarcatori nello spazio erano basati sull’analisi di composti volatili rilasciati da riscaldamento o pirolisi dei campioni. La tecnologia PBSA è estremamente sensibile ed è in grado di rilevare i biomarcatori non volatili pressoché in tempo reale con il minimo consumo di reagenti. Sebbene sia progettato con la prospettiva di assistere la missione ExoMars dell’Agenzia spaziale europea (ESA), il dispositivo PBSA potrebbe rivelarsi utile anche nella prevenzione del bioterrorismo e nel monitoraggio ambientale. Man mano che la tecnologia lab-on-chip si evolve, i test simultanei di numerosi biomarcatori potranno migliorare anche il rilevamento di agenti patogeni in ambienti di lavoro e contesti industriali.

Parole chiave

Lab-on-chip, segni di vita, capillari microfluidici, PBSA, circuiti integrati fotonici, ExoMars

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