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Contenuto archiviato il 2023-01-13

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Secondo Busquin, l'Europa ha il dovere morale nei confronti dei paesi in via di sviluppo di esaminare il potenziale delle biotecnologie per un'agricoltura sostenibile

Nell'aprire il dibattito sulle scienze della vita e le biotecnologie per un'agricoltura sostenibile, il 30 gennaio, il commissario per la Ricerca Philippe Busquin ha affermato che l'Europa ha il forte obbligo morale nei confronti dei paesi in via di sviluppo di contribuire all...

Nell'aprire il dibattito sulle scienze della vita e le biotecnologie per un'agricoltura sostenibile, il 30 gennaio, il commissario per la Ricerca Philippe Busquin ha affermato che l'Europa ha il forte obbligo morale nei confronti dei paesi in via di sviluppo di contribuire alla lotta contro la povertà e la malattia. La Commissione europea, assistita dal Gruppo europeo sulle scienze biologiche (EGLS), ha organizzato una conferenza della durata di due giorni, alla quale hanno partecipato diversi esperti che hanno illustrato i loro punti di vista, soprattutto in merito alle conseguenze della attuali pratiche agricole e all'impatto delle biotecnologie sull'agricoltura sostenibile nei paesi in via di sviluppo. "In molte parti del mondo vi è un evidente problema di approvvigionamento alimentare", ha affermato Busquin. "Sarebbe irresponsabile non valutare e discutere le potenziali capacità delle scienze della vita e delle biotecnologie di garantire un'agricoltura sostenibile nei paesi in via di sviluppo". "Circa 40.000 persone muoiono ogni giorno in tutto il mondo per cause legate alla fame [...] e la domanda alimentare di una popolazione mondiale in espansione aumenta più rapidamente della capacità dei produttori alimentari di soddisfarla", ha affermato il professor Ismael Serageldin, direttore della Biblioteca di Alessandria. Poiché le attuali previsioni indicano che la popolazione mondiale dovrebbe superare gli otto miliardi di abitanti entro il 2025, il professor Serageldin sostiene che sia necessario trovare il modo di aumentare la produzione alimentare e ridurre la povertà, tutelando nel contempo l'ambiente. Metodi quali l'abbattimento e l'incendio delle foreste per la coltivazione, e sistemi d'irrigazione inefficienti sono dannosi per gli abitanti e l'ambiente dei paesi in via di sviluppo. "La povertà è il peggior inquinatore e distruttore della biodiversità", ha dichiarato la dott.ssa Florence Wambugu, direttore esecutivo della Harvest Biotech Foundation International. Entrambi i relatori si sono trovati d'accordo nel sostenere che l'aumento della produzione alimentare deve essere raggiunto incrementando le colture biologiche e non ampliando le aree coltivate o aumentando l'irrigazione. Gli africani spendono fino al 60 per cento del PIL per l'alimentazione, contro il 25 per cento degli europei. Secondo la dott.ssa Wambugu, il ricorso alla tecnologia è il metodo più efficace per ridurre i prezzi dei prodotti alimentari. Le biotecnologie possono consentire di realizzare colture più resistenti alla siccità, con un grado di tolleranza al sale più elevato e più resistenti ai parassiti, senza che sia necessario ricorrere ai pesticidi. Le caratteristiche delle piante possono essere modificate geneticamente per accelerare la maturazione, aumentare la trasportabilità, ridurre le perdite postraccolto e migliorare la qualità nutrizionale dei prodotti. I vaccini contro le malattie che colpiscono il bestiame sono già una componente importante della ricerca biotecnologica. Sebbene l'utilizzo delle nuove tecnologie contribuisca allo sviluppo sostenibile, la dott.ssa Wambugu ha sottolineato la necessità di sviluppare tecnologie facili da utilizzare e in grado di favorire lo sviluppo di pratiche culturali. Tuttavia, lo sviluppo delle biotecnologie in ambito agricolo nei paesi in via di sviluppo incontra numerosi ostacoli e sfide. Come ha fatto notare il professor Serageldin, non è solo una questione di sviluppo di nuovi sistemi di produzione ad elevata produttività e sostenibili sotto il profilo ambientale, ma anche di volontà politica. "Uno degli aspetti essenziali per poter rispondere a tale sfida consiste nell'utilizzare tutti gli strumenti della crescita agricola sostenibile". La dott.ssa Wambugu ha espresso le sue preoccupazioni su come proteggere i diritti di proprietà intellettuale (DPI) senza ostacolare il libero accesso agli strumenti di ricerca e l'equa ripartizione dei benefici con i paesi poveri che non dispongono di sufficienti risorse finanziarie. Analogamente, il professor Serageldin ha avvisato che senza un solido sistema di regolamentazione dei DPI, si corre il rischio di sviluppare un apartheid scientifico e tecnologico, aumentando così l'emarginazione dei paesi in via di sviluppo. I partecipanti alla discussione hanno affrontato, inoltre, la questione dell'accettazione pubblica dei prodotti biotecnologici. Secondo la dott.ssa Wambugu, i timori dell'opinion pubblica nei confronti dei prodotti geneticamente modificati, in particolare, sono stati alimentati da una cattiva informazione. A suo avviso, l'aumento della spesa per la sensibilizzazione in materia di biotecnologie è essenziale per dissipare le paure e migliorare il dialogo. La dott.ssa Wambugu ha chiesto, inoltre, l'eliminazione della moratoria de facto dell'Europa sui prodotti geneticamente modificati. Come ha affermato Busquin, gli agricoltori dei paesi in via di sviluppo si trovano dinnanzi ad un dilemma: se impiegano tecniche geneticamente modificate non possono esportare verso l'Europa, me se non le utilizzano sono destinati a subire perdite e a soccombere ad una crescente concorrenza. Il professor Serageldin ha concluso esortando le parti interessate a distinguere fra etica, economia e scienza in sede di valutazione dell'impatto delle biotecnologie e delle scienze della vita sull'agricoltura sostenibile nei paesi in via di sviluppo.

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