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Zebrafish vision in its natural context: from natural scenes through retinal and central processing to behaviour.

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Vedere il mondo attraverso gli occhi di un pesce

Un nuovo studio ha fornito informazioni su come i nostri primissimi antenati potrebbero aver visto il mondo e sul motivo per cui la nostra vista abbia preso una particolare piega evolutiva.

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Circa 800 milioni di anni fa, alcuni dei primi organismi iniziarono a sviluppare quelli che sarebbero poi diventati gli occhi. «Per questi semplici organismi probabilmente poteva essere utile capire se fosse notte o giorno, o a quale profondità si trovassero nell’acqua», spiega il coordinatore del progetto NeuroVisEco, Tom Baden, dell’Università del Sussex nel Regno Unito. «Così, un recettore della melatonina è mutato nella proteina opsina, che è alla base di quasi tutti i fotorecettori, per consentire agli organismi di percepire la luce.» Baden ritiene che la retina dei vertebrati, evolutasi per la prima volta più di 500 milioni di anni fa, abbia stabilito il modello generale che tutti i vertebrati vedenti hanno ereditato da allora. La retina fornisce agli organismi, come noi, la visione spaziale, vale a dire la capacità di percepire la provenienza delle fonti di luce. Questo probabilmente aiutava i nostri antenati acquatici a evitare i predatori e a catturare le prede.

Visualizzazione dei sistemi visivi

Poiché diverse tipologie di specie si sono separate nel corso di milioni di anni, gli occhi si sono evoluti per adattarsi a contesti molto diversi. Baden osserva tuttavia che tutti i vertebrati possiedono un occhio simile a una macchina fotografica, dotato di una lente e una retina. Baden voleva comprendere meglio cosa avrebbero visto i nostri primi antenati, per delineare un quadro più chiaro delle modalità con cui i sistemi visivi dei vertebrati, compreso il nostro, si sono evoluti. Il progetto NeuroVisEco, sostenuto dal Consiglio europeo della ricerca, ha cercato di raggiungere questo obiettivo studiando la struttura e le funzioni della retina dei pesci zebra. «I pesci zebra sono fondamentalmente la versione moderna, con una certa approssimazione, dei nostri primi antenati pesci», aggiunge Baden. Per studiare il sistema visivo dei pesci zebra sono stati utilizzati l’imaging a due fotoni e l’analisi computazionale. Questo lavoro è stato integrato con le conoscenze acquisite sul campo, inserendo telecamere specializzate ed esposimetri nell’habitat visivo naturale del pesce zebra, allo scopo di «vedere ciò che il pesce zebra vede».

Circuiti dei fotorecettori

È emerso che il pesce zebra vede in modo diverso dai mammiferi. A differenza degli esseri umani, che hanno tre recettori per il blu, il verde e il rosso, i pesci ne hanno quattro. Questi quattro tipi sono spesso chiamati rosso, verde, blu e UV. Baden e il suo team hanno però scoperto che ognuno di essi svolge un ruolo ben definito e immediatamente utile: i coni «rossi» sono sensori di luminosità, mentre quelli verdi e blu sono sensori di «colore». I coni UV, invece, sono sistemi altamente specializzati, direttamente responsabili dell’identificazione del cibo da parte del pesce zebra. Inoltre, tutte le elaborazioni necessarie a questo scopo avvengono nel primo luogo possibile: la sinapsi di uscita dei fotorecettori stessi. Questo aspetto differisce nei mammiferi, che hanno perso i fotorecettori verdi e blu. Baden ipotizza che ciò sia avvenuto probabilmente durante l’era mesozoica, quando i mammiferi potrebbero essere diventati notturni per evitare di essere mangiati dai dinosauri, perdendo così la necessità di distinguere i colori.

Importanza dell’evoluzione

Oggi la maggior parte dei mammiferi è in grado di vedere due colori, ma presenta anomalie nella visione dei colori rosso e verde. Il gruppo dei primati, che comprende gli esseri umani, ha sviluppato la visione a tre colori, risolvendo il puzzle dei colori nel cervello, anziché fermarsi alla prima sinapsi della visione. «Per quanto ne sappiamo, quasi tutti i vertebrati moderni (pesci, anfibi, rettili e uccelli) hanno ancora questo recettore del complemento interamente a colori», spiega. «È il ramo dei mammiferi a essere strano!» Il prossimo grande compito di Baden è approfondire fino a che punto i risultati ottenuti con i pesci zebra siano effettivamente rappresentativi di altre specie non mammifere. «Si tratta di un lavoro ancora del tutto preliminare, ma la direzione che stiamo seguendo è questa», osserva. «Per comprendere e forse migliorare la nostra vista, dobbiamo capire non solo come funziona attualmente qualcosa, ma anche perché funziona in un certo modo. L’evoluzione contribuisce a dare un senso alle cose.»

Parole chiave

NeuroVisEco, evoluzione, retina, vertebrato, pesce zebra, visuale, vista, fotorecettore

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