Intuizioni riguardanti il melanoma potrebbero essere utili per tutti i tumori
I melanomi maligni sono la principale causa di morte per cancro della pelle, con 132 000 decessi all’anno a livello mondiale. Il trattamento preveda in genere la chirurgia, ma vi è un crescente interesse per il potenziale delle immunoterapie. Prendendo il melanoma come sistema tumorale modello, il progetto MEL-Interactions, finanziato dal Consiglio europeo della ricerca, ha esplorato le interazioni chiave tra i geni e le proteine di segnalazione, nonché tra le cellule del melanoma e le cellule immunitarie, per identificare le opportunità di miglioramento delle immunoterapie. «Il nostro lavoro ha già identificato promettenti bersagli terapeutici chiamati neoantigeni. Con diversi di questi già pronti per la sperimentazione clinica, ne potrebbero beneficiare circa 300 000 pazienti affetti da melanoma all’anno», spiega Yardena Samuels, coordinatrice del progetto. I dati genomici del team, inviati alla banca dati per la scienza aperta COSMIC, hanno già permesso ad altri team di applicare tecniche come l’apprendimento automatico nella ricerca di bersagli farmacologici per il trattamento di una serie di tumori.
Il melanoma come sistema modello
Quando 15 anni fa Samuels ha aperto il suo laboratorio al Weizmann Institute of Science, ha deciso di indagare sulle poco conosciute basi genetiche dei melanomi. Da allora, il suo team ha costruito una banca di tumori contenente molte annotazioni e oltre 100 campioni. Questo ha permesso al team di pubblicare i primi esomi completi del melanoma, seguiti da genomi completi. Questa banca dati ha anche fornito a Samuels le basi per studiare il potenziale delle immunoterapie. «I melanomi sono uno dei tumori solidi con il maggior numero di mutazioni», spiega Samuels. «Visto che le mutazioni sono fondamentali per le immunoterapie, avevo scelto per caso un tipo di cancro molto rilevante per la ricerca in questo campo.»
Dai geni alle vie di mutazione
Grazie alle informazioni rese pubbliche attraverso il programma di riferimento Cancer Genome Atlas, a cui Samuels ha contribuito, è noto che i geni mutanti del melanoma si dividono in quattro sottogruppi principali: BRAF, RAS, NF1 e TWP (triple wild-type). «C’è già stata una svolta con un inibitore a piccola molecola per BRAF, mutato nel 50 % dei melanomi, ma entro sei mesi i pazienti hanno sviluppato resistenza», aggiunge Samuels. Di conseguenza, la ricercatrice si è concentrata sulle vie di mutazione per individuare i punti in comune tra i sottotipi. La maggior parte dei tumori presenta una mutazione nella stessa via (MAP chinasi), il che potrebbe spiegare perché le mutazioni sono reciprocamente esclusive, indicando possibili bersagli farmacologici in grado di trattare tutte le sottocategorie. «Più conosciamo queste vie, più siamo in grado di colpire i tumori in modo altamente personalizzato», spiega Samuels. L’analisi bioinformatica delle vie delle diverse mutazioni ha aiutato il team a stabilire quali studiare per prime. Il mutante è stato poi clonato ed espresso in cellule per studiarne gli esiti, come il suo effetto sulla crescita delle cellule tumorali e sui tassi di invasione.
Neoantigeni come bersaglio dell’immunoterapia
Il collega di Samuels Steven Rosenberg aveva stabilito i protocolli per una terapia cellulare che utilizza i linfociti infiltranti il tumore (TIL) o i globuli bianchi, per trattare i tumori solidi. Pur essendo promettenti, non è ancora chiaro quale sia lo spettro di antigeni bersaglio dei TIL. MEL-Interactions ha fornito un'importante prova del fatto che i TIL non puntano solo agli antigeni associati al tumore, ma anche ai neoantigeni, ossia proteine derivanti da mutazioni e ospitate dai tumori stessi. Il team di Samuels ha identificato i neoantigeni coinvolti ed è stato il primo a utilizzare la immunopeptidomica per identificare i neoantigeni presentati che avrebbero innescato una risposta immunitaria. Dopo aver identificato queste cellule T reattive, è stato possibile clonare il recettore specifico per questo neoantigene. «Se riusciamo a ingegnerizzare i linfociti T in modo che riconoscano il neoantigene sulla cellula bersaglio, l’immunoterapia si dimostrerà più potente rispetto all’attuale tasso di risposta del 20-40 % per il melanoma cutaneo», afferma Samuels.
Trattamento personalizzato del cancro
Il lavoro della équipe è applicabile a una serie di tumori e sono già stati identificati neoantigeni bersaglio per i tumori della prostata, del seno e del colon-retto, tra gli altri. Durante la costruzione di una raccolta di inibitori o strumenti di immunoterapia per obiettivi terapeutici personalizzati, il progetto ha dimostrato il valore dello studio delle mutazioni sia a bassa che ad alta incidenza. Ma rimangono ancora delle domande. «Non è chiaro quali siano le proteine mutate che guidano il processo tumorale, invece di essere semplici passeggeri, e non tutti i neoantigeni sono un buon bersaglio. Dobbiamo ancora trovare il modo di indurre la presentazione di neoantigeni nei tumori con poche mutazioni per creare bersagli terapeutici», osserva Samuels.
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