L’interazione del virus SARS-CoV-2 con diverse superfici
La maggior parte delle ricerche relative alla COVID-19 si è sinora concentrata sulle sue mutazioni, sul modo in cui si diffonde tra le persone e su come è possibile prevenirla mediante l’impiego di vaccini e farmaci. Ciò che si tende a trascurare, tuttavia, sono le modalità di interazione del virus SARS-CoV-2 con le varie superfici. «Sebbene questo aspetto della pandemia non sia stato studiato da altri gruppi di ricerca, esso si ripercuote in modo significativo sulla diffusione delle malattie infettive di tal genere», afferma Jordi Faraudo, ricercatore presso l’Istituto di scienza dei materiali di Barcellona (ICMAB-CSIC). Con il sostegno del progetto MAT4COVID, finanziato dall’UE, Faraudo, insieme al suo collega e borsista del programma di azioni Marie Skłodowska-Curie Mehdi Sahihi, sta osservando da vicino questo fattore generalmente ignorato del coronavirus. «Mediante lo studio dei fondamentali aspetti fisico-chimici relativi all’interazione tra virus SARS-CoV-2 e diverse superfici, speriamo di identificare quali fattori le rendano soggette all’adesione virale o, al contrario, virucide», aggiunge Sahihi.
Il tipo di materiale quale elemento fondamentale nell’interazione tra virus e superficie
Una caratteristica saliente del virus SARS-CoV-2 sono le sue grandi protuberanze, da cui la sua famiglia ha preso il nome di «corona». Sono proprio tali formazioni (chiamate spike in inglese) a essere responsabili dell’infettività del virus. «Data la grande esposizione delle protuberanze, il virus interagisce facilmente con l’ambiente circostante, compresi i materiali delle superfici con cui entra in contatto», spiega Faraudo. Utilizzando strumenti avanzati di chimica computazionale, algoritmi, megadati e supercomputer, i ricercatori hanno cercato di prevedere le modalità di interazione tra virus e materiali superficiali comuni, come metalli e plastica. Secondo quanto rilevato, il modo in cui il virus interagisce con un materiale superficiale è altamente specifico: per esempio, i metalli tendono a influenzare l’integrità strutturale della protuberanza e, tra questi, l’oro è quello in grado di provocare la maggior deformazione. «Data la capacità dei metalli di inattivare il virus SARS-CoV-2, essi si rivelano buoni candidati per lo sviluppo di una nuova generazione di materiali virucidi», osserva Sahihi. Utilizzando metodi computazionali, i ricercatori prevedono inoltre che le protuberanze del virus non siano deformate dall’assorbimento sul polistirene. Esse, tuttavia, aderiscono in modo efficace al polimero. «Queste indicazioni suggeriscono che la plastica potrebbe essere in grado di accumulare particelle virali infettive», spiega Faraudo.
Garantire una migliore preparazione alla prossima pandemia
Combinando concetti e strumenti inerenti a svariati campi come la chimica, la biologia molecolare, la fisica e la scienza dei materiali, il progetto MAT4COVID è riuscito a fornire nuove conoscenze su un aspetto essenziale delle malattie virali. «Svelare i segreti del rapporto esistente tra struttura e attività dei materiali e dei rivestimenti virucidi non solo spiana la strada allo sviluppo di nuove soluzioni rivoluzionarie, ma soprattutto ci assicura una migliore preparazione alle future pandemie», conclude Sahihi. Il team di ricerca continuerà ad esplorare i concetti fondamentali alla base delle interazioni tra virus e materiali, prendendo inoltre in considerazione altre potenziali applicazioni biomediche.
Parole chiave
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