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IN-SITU INSTRUMENT FOR MARS AND EARTH DATING APPLICATIONS

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Un nuovo strumento consente ai rover marziani di datare i campioni di roccia in situ

I progressi nella ricerca della vita su Marte sono ostacolati dalla necessità di inviare i campioni sulla Terra per le analisi. L’innovazione proposta dal progetto IN TIME consente di svolgerle direttamente sul pianeta rosso.

Marte è un luogo promettente per capire finalmente se la vita sia mai esistita in qualche parte dell’universo. Le prove raccolte indicano che questo pianeta era un tempo ricco d’acqua e aveva un’atmosfera più spessa e un clima più caldo, tutte condizioni compatibili con la vita. Secondo le ricerche degli esperti in scienza planetaria, i vulcani, i crateri da impatto di meteoriti, i segni di effetti atmosferici o fotochimici e i processi geofisici contengono tracce della storia geologica e climatica marziana. I campioni di roccia raccolti sulla superficie di Marte potrebbero dunque chiarirne la formazione e l’evoluzione, e spiegare perché presenta meno atmosfera rispetto alla Terra; l’acqua marziana, a sua volta, potrebbe offrire indizi sull’evoluzione della vita. «È probabile che, se comprendessimo i processi geofisici, geologici e atmosferici di Marte, potremmo chiarire anche l’evoluzione e la storia della Terra e di altri pianeti del sistema solare», spiega Roberto Filippone, coordinatore del progetto IN TIME(si apre in una nuova finestra), finanziato dal programma di azioni Marie Skłodowska-Curie(si apre in una nuova finestra). Attualmente, però, i campioni di roccia marziana devono essere rispediti sulla Terra per un’analisi dettagliata, con un conseguente aumento dei tempi e dei costi. Questo fattore ha spinto IN TIME a progettare uno strumento che permetta, tramite la luminescenza, di datare i campioni in loco. La soluzione è stata dimostrata con un prototipo portatile, denominato proprio «IN TIME». «Una volta integrato in un rover, oltre a raccogliere nuovi dati marziani, il nostro strumento può aiutare a identificare i campioni più promettenti da analizzare ulteriormente sulla Terra», spiega Filippone, che lavora per ALMA Sistemi(si apre in una nuova finestra), l’azienda che ha ospitato il progetto.

Uno strumento miniaturizzato per la datazione a luminescenza

La datazione a luminescenza(si apre in una nuova finestra) sfrutta il fatto che i campioni marziani sepolti non sono esposti alla radiazione solare, e che assorbono isotopi radioattivi che decadono nel tempo, intrappolando così una carica. Questa emette un segnale luminescente in seguito alla stimolazione luminosa, e la sua intensità permette di scoprire l’età del campione. Il progetto ha utilizzato il protocollo di dose rigenerativa a singola aliquota (SAR, Single-Aliquot Regenerative-dose), che traccia la luminescenza sulla cosiddetta curva rispondente al dosaggio, per simulare il passaggio del tempo e stimare l’età del campione in modo più accurato. Il prototipo di strumento si compone di tre elementi fondamentali per eseguire il protocollo SAR: l’unità di irradiazione (che somministra una dose nota), il sistema di stimolazione della luce (per la luminescenza ottica e infrarossa stimolata) e il fotomoltiplicatore (che acquisisce il segnale di luminescenza), tutti controllati dal software sviluppato dal progetto. Per convalidare i risultati, il prototipo è stato collaudato sulla Terra, dove ha analizzato per la prima volta depositi di origine basaltica (rocce sedimentarie simili a quelle di Marte) presso il laboratorio ALMA, sotto la supervisione del gruppo di ricerca dell’Università di Sassari(si apre in una nuova finestra). «Abbiamo completato con successo tutte le fasi del protocollo SAR, dimostrando che è possibile datare i depositi derivati dal basalto tramite la luminescenza», osserva Filippone.

Nuove applicazioni all’orizzonte

Lo strumento è stato sperimentato con successo anche a Lanzarote, nella pianura di El Jable, per definire la cronologia dei depositi sedimentari e degli eventi climatici associati, relativi alle fasi glaciali-interglaciali degli ultimi 130 000 anni. Inoltre, la squadra ha definito le caratteristiche dei siti marziani(si apre in una nuova finestra) dove è probabile rinvenire campioni promettenti; inoltre ha dimostrato che lo strumento IN TIME può funzionare a bassa potenza, su campioni molto vecchi e grezzi (non trattati chimicamente), rafforzando la fiducia nella sua idoneità per il suolo marziano. Questo lavoro potrebbe fornire un importante contributo alle ricerche dell’Agenzia spaziale europea(si apre in una nuova finestra), in preparazione all’invio di astronauti europei su Marte entro il 2040. «Ora stiamo lavorando a uno strumento autonomo, ad alte prestazioni e competitivo. Oltre che su Marte, potrebbe essere utilizzato anche sulla Terra. Può datare depositi/sedimenti geologici risalenti a fino a un milione di anni fa, e integrare i dati ricavati dalla datazione archeologica al radiocarbonio, che è limitata a 50 000 anni e richiede la presenza di materiale organico», conclude Filippone.

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