Secondo un'indagine, una maggiore informazione scientifica da parte dei media non riduce la diffidenza nei confronti della scienza
L'esposizione alla divulgazione scientifica non si traduce in un aumento della fiducia nel lavoro degli scienziati: questa una delle conclusioni alle quali sono giunti due ricercatori che hanno analizzato il rapporto fra il grado di esposizione all'informazione scientifica veicolata dai media e la fiducia degli italiani nei confronti della scienza e, soprattutto, delle biotecnologie. Nell'ambito di un'indagine sponsorizzata, in parte, dalla Fondazione "Giannino Bassetti" per la responsabilità nell'innovazione, Massimiano Bucchi (Università di Trento) e Federico Neresini (Università di Padova) hanno intervistato poco più di 1.000 italiani attorno alla fine del 2000 e circa altrettanti l'anno seguente. Agli intervistati sono state rivolte delle domande sul loro livello di esposizione all'informazione scientifica (trasmissioni di divulgazione in TV, rubriche su scienza e tecnologie nei quotidiani, riviste e libri di divulgazione scientifica). I ricercatori hanno posto quesiti simili a quelli contenuti nell'Eurobarometro del 1999 (http://europa.eu.int/comm/research/pdf/eurobarometer-en.pdf(si apre in una nuova finestra)) aggiungendo alcune domande sulla fiducia nei confronti della scienza e degli scienziati, nonché sull'utilità, i rischi e l'accettabilità morale delle biotecnologie. "I nostri risultati confermano i precedenti sospetti secondo i quali non sempre l'esposizione all'informazione porta ad un aumento di fiducia nelle biotecnologie. Inoltre, abbiamo riscontrato che una maggiore esposizione alla divulgazione scientifica nei media non si traduce necessariamente in un aumento del livello di comprensione", si legge nella lettera aperta che Bucchi e Neresini hanno scritto per illustrare i risultati del loro studio. I ricercatori fanno notare, inoltre, che maggiore informazione non significa automaticamente maggiore accettazione delle applicazioni, ma che spesso, al contrario, l'informazione porta ad un atteggiamento più critico nei confronti di alcune attività. L'indagine ha rivelato, infatti, che il 64 per cento dei soggetti più esposti alle informazioni considera la ricerca su embrioni moralmente inaccettabile, contro il 59 per cento dei meno esposti, mentre l'80 per cento degli habitué della scienza nei media definisce inutile la clonazione riproduttiva, contro il 76 per cento tra i fruitori meno assidui della divulgazione scientifica. I due studiosi sottolineano che l'esposizione alla divulgazione scientifica nei media non costituisce necessariamente una garanzia dell'accuratezza dell'informazione. Essi puntualizzano che, sebbene quanti attingono informazioni da almeno una fonte pubblica di informazione scientifica di elevata qualità mostrino un atteggiamento più positivo nei confronti delle biotecnologie, "questo risultato conferma semplicemente un noto paradosso della comunicazione scientifica: essa tende ad esercitare l'influenza maggiore su una ristretta minoranza di individui, ovvero su coloro che molto probabilmente dispongono già di tali informazioni". Nell'indagine prevale a larga maggioranza l'orientamento a non lasciare che gli scienziati possano liberamente condurre ricerche sulle biotecnologie. Per il 63,9 per cento degli intervistati, la regolamentazione non può neppure essere lasciata alle imprese. Emerge inoltre una significativa richiesta da parte del pubblico di essere coinvolto nelle decisioni: dopo il governo, il soggetto più spesso citato come avente titolo a decidere sono "tutti i cittadini" (22 per cento), addirittura davanti agli stessi scienziati (20 per cento). Questa domanda di coinvolgimento è confermata, tra l'altro, dal fatto che il 28 per cento degli intervistati ha espresso il proprio interesse a partecipare a un eventuale evento pubblico per discutere delle biotecnologie con scienziati, politici e giornalisti. Nella convinzione che i mezzi di comunicazione, da soli, non possano influenzare l'opinione pubblica, Bucchi e Neresini suggeriscono di porre maggior enfasi sull'istruzione. "Il livello di sensibilizzazione dell'opinione pubblica nei confronti delle biotecnologie sta aumentando e il grado d'istruzione sembra rivestire un ruolo più importante di altri fattori nella determinazione degli atteggiamenti in questo settore. Pertanto, è consigliabile dedicare all'istruzione scientifica altrettanta attenzione - sia in termini di ricerca che di programmi e investimenti - rispetto a quella riservata alla comunicazione scientifica attraverso i mass media", scrivono i ricercatori. I mezzi d'informazione, da soli, non bastano per affrontare le preoccupazioni dell'opinione pubblica, poiché "gli atteggiamenti sembrano essere radicati in uno strato culturale più profondo, all'interno del quale i valori (come la fiducia e la percezione del rischio) assumono un ruolo preponderante e l'informazione dei media non riesce ad arrivare".
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