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Contenuto archiviato il 2023-01-13

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I partecipanti ad un seminario lanciano un appello a favore dell'apertura e dell'impegno internazionale in materia di etica nella ricerca medica

Durante un seminario internazionale sull'etica nella ricerca medica, tenutosi a Bruxelles il 13 ottobre, uno dei pochi punti sui quali si è raggiunto un ampio consenso è stato quello relativo all'estrema difficoltà di affrontare tali questioni a livello internazionale. Eppure...

Durante un seminario internazionale sull'etica nella ricerca medica, tenutosi a Bruxelles il 13 ottobre, uno dei pochi punti sui quali si è raggiunto un ampio consenso è stato quello relativo all'estrema difficoltà di affrontare tali questioni a livello internazionale. Eppure, sebbene sia difficile mantenere un dialogo internazionale sulle questioni etiche, molti dei partecipanti alla manifestazione, organizzata congiuntamente dal Forum norvegese per la ricerca e l'innovazione e dal ministero sloveno per l'Istruzione, la Scienza e lo Sport, hanno chiesto di intensificare tali scambi. Secondo Barbara Rhode, capo dell'Unità "Questioni deontologiche della ricerca e della scienza" presso la DG Ricerca della Commissione, per l'Unione europea il tema dell'etica è sempre molto complesso, sia esso riferito alla ricerca medica o ad altri settori della scienza. "Sebbene vi sia un impegno a rispettare i principi etici fondamentali nell'ambito del Sesto programma quadro [6PQ], la CE non ha competenze in materia di gestione delle questioni etiche, poiché esse sono il risultato della diversità e delle differenti sensibilità nazionali e, come tali, sono soggette al principio di sussidiarietà", ha affermato la Rhode. In base alle principali norme etiche stabilite dal 6PQ, i partecipanti ai progetti di ricerca finanziati dall'UE devono conformarsi alle regolamentazioni e alle norme etiche del paese nel quale verrà condotta la ricerca e, all'occorrenza, i ricercatori devono ottenere l'approvazione del comitato etico nazionale o locale competente, prima di dare avvio ai lavori, ha proseguito la Rhode. Inoltre, quando la Commissione riceve proposte relative ad attività di ricerca in settori delicati sotto il profilo etico, un gruppo multidisciplinare di esperti viene incaricato di esaminare le proposte e può apportare modifiche ai progetti che potrebbero pregiudicare i principi etici fondamentali. Una delle difficoltà riscontrate dalla Commissione, ha spiegato la Rhode, è dovuta al fatto che, prima di presentare le proposte, molti ricercatori non erano a conoscenza delle regolamentazioni etiche in vigore nei rispettivi paesi. Ella ha pertanto esortato gli Stati membri a fornire maggiori informazioni agli scienziati in merito alla legislazione e alle linee guida pertinenti. Al prof. Joze Trontelj, presidente del Comitato nazionale sloveno per l'etica medica, è stato chiesto di illustrare le principali sfide etiche che i paesi dell'Europa centrale ed orientale si trovano ad affrontare. Egli ha avvertito che in questa regione è possibile riscontrare ancora numerosi esempi di prassi eticamente discutibili, soprattutto nel settore della sperimentazione clinica su esseri umani. Una delle principali difficoltà insite nel processo d'identificazione ed eliminazione di tali abusi, ha affermato il prof. Trontelj, consiste nel fatto che gli organismi preposti alla conduzione degli esami etici in tali paesi sono oberati di lavoro, a causa dell'eccessivo onere burocratico e della mole elevata di richieste di sperimentazioni. Poiché attualmente non sono ancora disponibili linee guida internazionali per l'amministrazione etica della ricerca sulle cellule staminali e gli embrioni in vitro, il prof. Trontelj prevede che prima di intravedere un miglioramento, la situazione sia destinata a peggiorare e sostiene che l'aggiunta di un protocollo in materia di etica nella ricerca alla Convenzione sui diritti umani rappresenterebbe un importante passo avanti. Per il prof. Jan Helge Solbakk, direttore del Centro di etica medica all'Università di Oslo, l'avvio di un dibattito a livello internazionale è essenziale per la conclusione di accordi pratici. Egli, inoltre, ha messo in guardia contro il rischio di sovrastimare il potenziale terapeutico, al fine di promuovere un particolare settore di ricerca, aggiungendo che regioni come l'Europa hanno il dovere di aumentare la spesa per la ricerca sulle malattie che colpiscono i paesi in via di sviluppo. "Finché il 90 per cento dei circa 60 miliardi di euro spesi ogni anno per la ricerca medica sarà dedicato alle esigenze sanitarie del 10 per cento più ricco della popolazione mondiale, i paesi che non intendono contribuire al più ampio sforzo sanitario globale verranno ritenuti responsabili di gravi violazioni dei diritti umani in nome della ricerca biomedica", ha dichiarato il prof. Solbakk. La Rhode ha riconosciuto che la stessa UE non ha assunto il dovuto impegno nei confronti della dimensione della ricerca etica relativa ai paesi in via di sviluppo, poiché si è concentrata maggiormente su questioni relative alla propria diversità interna. Tuttavia, ha aggiunto, quest'esperienza e diversità attribuiscono all'UE un importante ruolo nel processo globale. Nel trarre le conclusioni del seminario, il direttore generale del Consiglio norvegese delle ricerche Christian Hambro ha affermato che alcune delle questioni etiche sollevate nel campo della ricerca medica sono troppo importanti per essere affrontate dai singoli scienziati e perfino dalla comunità scientifica nel suo complesso. Tale opinione è stata ribadita dal prof. Trontelj, che ha sottolineato l'importanza di consultare l'opinione pubblica, ricordando il dovere dei cittadini di informarsi su tali argomenti da fonti attendibili. "Dobbiamo separare l'etica dalla politica e agli scienziati non dev'essere consentito alimentare aspettative irrealistiche nella scienza come talvolta richiesto dai politici". In conclusione, la Rhode ha condiviso la necessità di rafforzare la cooperazione dell'UE con i paesi candidati e quelli in via di sviluppo. Infine, ha sottolineato che, nonostante la complessità delle questioni, "l'etica non deve essere percepita come una barriera o un ostacolo burocratico al progresso, ma piuttosto come un fattore di promozione della scienza".