Conferenza discute in quale misura l'agenda delle scienze sociali debba essere definita dai decisori politici
I partecipanti all'ultima giornata della conferenza UE "Scienze sociali e umane in Europa" hanno accordato unanime sostegno alla cooperazione internazionale rafforzata, ma non sono riusciti a giungere a un accordo sul modo di incoraggiare tale collaborazione. Diversi oratori internazionali hanno illustrato le iniziative e i progetti esistenti in materia di cooperazione internazionale, mentre altri hanno proposto di istituire nuove reti. Maria Joao Rodrigues, dell'Istituto superiore di scienze del lavoro e dell'impresa (ISCTE), in Portogallo, nello schierarsi a favore di un'agenda elaborata dai responsabili decisionali, ha affermato: "Dobbiamo fare in modo che i responsabili delle decisioni si riuniscano regolarmente per definire strategie e questioni fondamentali". Questa argomentazione è stata tuttavia respinta da David Lightfoot, direttore aggiunto del dipartimento di scienze sociali comportamentali ed economiche presso la National Science Foundation (NSF), negli Stati Uniti. A suo parere, intraprendere un processo che preveda la definizione di un'agenda da parte dei decisori politici significherebbe imboccare una "china pericolosa". "Non capisco perché si debba collaborare riguardo all'individuazione di esigenze. Ritengo che la collaborazione debba essere un processo dal basso verso l'alto. Dovremmo prevedere meccanismi atti a far sì che questo accada in modo naturale", ha affermato. Come ha evidenziato Dius Lennon, direttore della direzione Scienze umane e sociali; analisi previsionali all'interno della DG Ricerca della Commissione europea, di fatto i decisori politici non erano presenti alla conferenza. Nel tentativo di trovare una soluzione al disaccordo su chi debba definire le priorità, Dius Lennon ha sottolineato l'importanza di "sdrammatizzare" il dibattito, precisando che anche i responsabili politici hanno priorità ed esigenze e che il divario tra queste e le priorità degli scienziati non è forse così ampio come alcuni potrebbero credere. "La differenza è più apparente che reale", ha affermato. Lennon ha quindi proposto di istituire una serie di workshop che prevedano la partecipazione di decisori politici e ricercatori nel campo delle scienze sociali e umane. Poiché non tutti potranno essere presenti a tali incontri, affinché essi siano efficaci, deve essere prevista anche una consultazione tramite web, ha dichiarato. Uno dei partecipanti che ha insistito sulla necessità della cooperazione internazionale a livello di ricercatori è stato il presidente dell'Istituto brasiliano per la ricerca economica applicata, professor Glauco Arbix, che ha proposto di creare una rete comune Brasile-UE sostenendo che gli scienziati brasiliani non possono capire i problemi storici di America latina e Brasile se si concentrano esclusivamente sul loro paese. Il professore Arbix ha sottolineato come la sua non fosse una richiesta di sostegno finanziario all'UE. Spiegando che dispone di un bilancio annuale di 10 milioni di dollari (8,3 milioni di euro), ha dichiarato: "Il nostro problema non è il denaro, benché, ovviamente, il denaro sia gradito; non ci occorrono finanziamenti dall'UE o dagli USA. Abbiamo bisogno di conoscenza, e di apprendere dalla vostra metodologia". Il concetto di reti è stato sollevato anche nel contesto dei programmi quadro per la ricerca della Commissione europea. Il professor Reimund Seidelmann dell'Istituto di scienze politiche presso l'Università Justus-Liebig (Germania) ha elogiato l'approccio gestionale adottato per le reti di eccellenza - uno strumento di finanziamento introdotto nel Sesto programma quadro (6PQ) - dichiarando però che non è funzionale avere reti costituite da 40 o 50 università. Un altro aspetto dei programmi quadro, e più nello specifico del prossimo 7PQ, al quale hanno fatto riferimento molti oratori, riguarda il Consiglio europeo della ricerca (CER). A conclusione dell'evento, Dius Lennon ha dichiarato di avere l'impressione che i presenti avrebbero preferito collaborare nell'ambito del CER piuttosto che all'interno di uno dei più tradizionali programmi di cooperazione del 7PQ. Lennon ha inoltre convenuto che le scienze umane in particolare non erano state inserite nei precedenti programmi quadro e ha affermato che, nel 7PQ, questa situazione deve cambiare. Restano tuttavia alcuni interrogativi riguardo al CER, alcuni dei quali sono stati sollevati da Gordon Marshall, vicerettore dell'Università di Reading (Regno Unito): in quale modo si riuscirà a evitare che il CER duplichi un'attività di ricerca già svolta a livello nazionale? Il fatto che il finanziamento del CER sia destinato al meglio in assoluto significa forse che si dovrebbero far confluire tutti i nostri investimenti nell'eccellenza e non in azioni finalizzate allo sviluppo delle capacità? Con l'istituzione del CER i programmi e i progetti transfrontalieri che attualmente esistono diventeranno superflui? Dius Lennon ha risposto invitando le comunità delle scienze sociali e umane ad avviare un dialogo con i cinque rappresentanti del comitato scientifico del CER durante la fase di elaborazione dell'iniziativa. La conferenza è stata giudicata da tutti un grande successo. In effetti, aveva già acquisito popolarità al momento dell'annuncio, e la Commissione si è vista costretta a rifiutare l'ingresso a molti di coloro che desideravano parteciparvi, per mancanza di spazio. ll livello di consenso tributato alla conferenza e ai futuri piani comunitari nel campo delle scienze sociali e umane è stato sintetizzato con efficacia da Poul Holm, docente di storia marittima presso la University of Southern Denmark, che ha descritto le proposte relative al 7PQ un "importante progresso". "Non molto tempo fa ci sentivamo del tutto ignorati dall'Unione europea. Questa conferenza e il progetto di proposta riguardo al 7PQ contribuiscono non poco a dissipare una tale sensazione", ha affermato.