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Contenuto archiviato il 2023-03-02

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Trasferimento di tecnologie in Europa: meglio di quanto si credesse in precedenza?

Secondo un nuovo studio realizzato da ricercatori dell'Università delle Nazioni Unite nei Paesi Bassi, la capacità dell'Europa di commercializzare i risultati della ricerca finanziata pubblicamente è migliore di quanto immaginato in precedenza. Si afferma spesso che gli Stat...

Secondo un nuovo studio realizzato da ricercatori dell'Università delle Nazioni Unite nei Paesi Bassi, la capacità dell'Europa di commercializzare i risultati della ricerca finanziata pubblicamente è migliore di quanto immaginato in precedenza. Si afferma spesso che gli Stati Uniti superano di gran lunga l'Europa in termini di trasferimento delle tecnologie. Tale successo si riflette nel numero di brevetti e nuove aziende, come anche nell'entità delle entrate ottenute dalle università dell'intero paese per la concessione di licenze. Ciò porta alcuni a credere che gli europei abbiano capacità imprenditoriali inferiori ai loro omologhi americani. Fino a poco tempo fa, la mancanza di dati raffrontabili rendeva difficile determinare lo stato della situazione reale. Ora però, nel corso di uno studio condotto da Anthony Arundel e Cataline Bordoy dell'UNU-MERIT, centro di ricerca e formazione dell'UNU, è stato riscontrato che i risultati dell'Europa sono migliori di quanto si credesse, almeno per quanto concerne il trasferimento formale delle tecnologie. Per due dei tre indicatori utilizzati, licenze rilasciate e nuove aziende, l'Europa supera infatti gli Stati Uniti, mentre li segue, anche se soltanto di poco, per quanto riguarda i ricavi per la concessione delle licenze come percentuale delle attività di ricerca. Secondo lo studio, nel 2004, a parità di investimenti in ricerca espressi in milioni di dollari, gli istituti pubblici europei hanno rilasciato il 20 per cento di licenze in più, creato il 40 per cento in più di nuove aziende e ricavato soltanto il 10 per cento in meno per la concessione delle licenze rispetto alle università americane. Restano problemi di comparabilità dei dati, come anche dubbi sulla capacità di questi ultimi di fornire un quadro preciso dei livelli di commercializzazione reali. "Una nuova azienda può fallire, una licenza può non dare alcun risultato di valore ed è persino possibile realizzare ricavi dalla concessione delle licenze senza che l'azienda offra una nuova invenzione al mercato o realizzi un profitto grazie ad essa. Ciononostante, i risultati sono interessanti e indicano che il mondo accademico europeo può avere molte più capacità imprenditoriali di quanto non si creda normalmente", scrivono gli autori nella relazione. Quest'ultima sottolinea anche che il trasferimento delle tecnologie avviene non soltanto attraverso rapporti formali tra istituti di ricerca e aziende (ricerca a contratto e concessione di licenze), ma anche attraverso la "scienza aperta". Con tale concetto si intende la lettura di articoli su riviste, la partecipazione a conferenze organizzate in ambito accademico o contatti informali. "Un'eccessiva attenzione agli indicatori relativi al trasferimento formale delle tecnologie può indurre i decisori politici a promuovere questo tipo di trasferimento a scapito di quello che avviene attraverso la scienza aperta; e ciò sarebbe sbagliato", si legge nella relazione. "Il paradosso europeo è probabilmente il frutto di scarse capacità di trasferimento attraverso il sistema della scienza aperta, poiché i risultati del trasferimento formale delle tecnologie da enti di ricerca pubblici ad aziende non sono affatto negativi. Ciò significa che i responsabili politici devono impegnarsi nel miglioramento dei risultati europei nell'ambito della scienza aperta". Gli autori sollecitano l'introduzione di altri indicatori per misurare l'impatto di questa modalità di trasferimento delle tecnologie sulla commercializzazione della ricerca pubblica, nonché modifiche ai questionari sul trasferimento formale, per garantire una piena comparabilità dei risultati.