Accelerare la progettazione di nuove bioplastiche
Sono in molti a ritenere che nuove forme di plastica a base biologica possano costituire un modo efficace per ridurre l’impatto generato dall’inquinamento da plastica. Tuttavia, è innanzitutto necessario essere sicuri che questi nuovi materiali non finiscano per provocare altri tipi di problemi ambientali. Il progetto RenEcoPol ha dimostrato un metodo che, avvalendosi di strumenti bioinformatici e strategie di ecoprogettazione, permette di accelerare il processo di sviluppo di nuovi poliesteri in grado di biodegradarsi in modo sicuro, oppure di essere recuperati per un successivo riutilizzo. I ricercatori, attivi presso l’Università di Trieste, hanno concepito uno strumento per simulare il comportamento di monomeri ed enzimi e selezionare i migliori candidati con cui lavorare. «Vengono continuamente segnalati nuovi monomeri ma, se impieghiamo strumenti bioinformatici e flussi di lavoro automatici, possiamo prevederne le proprietà e velocizzarne ampiamente lo sviluppo», afferma Anamaria Todea, la ricercatrice principale di RenEcoPol, che ha lavorato sostenuta dal programma di azioni Marie Skłodowska-Curie. Il passo successivo è stato quello di convalidare questi modelli nel contesto laboratoriale, un compito che il team di RenEcoPol ha svolto preparando e caratterizzando in modo esaustivo 18 poliesteri, di cui alcuni nuovi e altri già noti, tutti provenienti da fonti rinnovabili con scale di 10 g, 15 g e 50 g. «Abbiamo implementato la sintesi enzimatica del poliestere per poi ampliarne la portata. Abbiamo lavorato in condizioni reali, cercando di mettere in atto reazioni in sistemi privi di solventi o utilizzando solventi nuovi ed ecocompatibili, ricorrendo agli enzimi in quello che si può definire un sistema completamente ecologico», osserva Todea.
Biodegradabilità in mare
Gli scienziati hanno quindi analizzato la biodegradabilità dei poliesteri a base biologica nell’ambiente marino testando 25 campioni in totale. Successivamente, hanno anche utilizzato enzimi per idrolizzare o scomporre i poliesteri in acqua ricorrendo all’impiego di due enzimi disponibili in commercio e ottenendo rese di biodegradazione che hanno raggiunto il 90%. «In natura esistono enzimi in grado di idrolizzare i polimeri naturali. Per l’idrolisi di altri polimeri, tuttavia, abbiamo utilizzato enzimi diversi, non solo di origine naturale», spiega Todea. Il team di ricerca ha quindi valutato l’eventuale ecotossicità dei nuovi polimeri esaminandone gli effetti su microalghe e batteri. Secondo quanto ritiene Todea, il lavoro svolto in relazione all’ecotossicità colma una lacuna: attualmente, infatti, non sono disponibili molti dati sulle modalità di biodegradazione dei polimeri e dei monomeri a base biologica in ambienti marini, mentre ne esistono di più per quanto riguarda il suolo.
Misurare l’ecotossicità
Sono molti gli studi che dimostrano la quantità di giorni in cui la plastica scompare, ma non è così per le modalità e l’eventuale tossicità con cui si verifica questo processo», dichiara la ricercatrice. «Questi dati contribuiscono a garantire una progettazione ecocompatibile perché è importante sapere sin dall’inizio qual è il comportamento di un monomero a base biologica nell’ambito di diversi materiali, nonché se deve essere selezionato o meno per la sintesi. Se è di origine biologica, ma risulta tossico, non serve a nulla», aggiunge Todea.
Economia circolare
Infine, per chiudere il cerchio, la squadra ha impiegato i monomeri ottenuti in seguito alla degradazione enzimatica dei nuovi tipi di poliestere, cercando di recuperarli. I ricercatori hanno sviluppato procedure per monomeri sia solubili che insolubili e ne hanno fatto uso in una nuova reazione, ottenendo rese tra il 76% e il 90%. «Seguendo tutte queste fasi, abbiamo contribuito efficacemente ai principi della bioeconomia, dimostrando di essere in linea con l’economia circolare. I risultati sono stati convalidati e possono costituire il punto di partenza per nuovi poliesteri a base biologica caratterizzati dalle proprietà desiderate: bassa ecotossicità, biodegradabilità marina e biodegradabilità enzimatica», conclude Todea.
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