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Investigating interactions between plant roots and phosphorus in soil

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Le conoscenze sull’attività delle radici nel suolo potrebbero giovare alla produzione vegetale

Aumentando l’assorbimento del fosforo dal suolo da parte delle piante si ottiene un doppio vantaggio: riduzione dell’uso di fertilizzanti e minori danni all’ambiente.

Essendo un nutriente essenziale del suolo, il fosforo è fondamentale per i processi delle piante, tra cui il trasferimento di energia e lo sviluppo degli organi, e costituisce persino parte della spina dorsale della struttura a scala del DNA. Secondo Frederik van der Bom(si apre in una nuova finestra) della Università di Copenaghen(si apre in una nuova finestra): «Senza fosforo, le cellule non potrebbero dividersi, immagazzinare energia o trasmettere informazioni genetiche, il che significa niente crescita, niente riproduzione e, in definitiva, niente vita sulla Terra». Tuttavia, il fosforo è difficilmente accessibile alle piante a causa della sua elevata reattività, legandosi strettamente alle particelle del suolo e/o formando composti insolubili. Per compensare, gli agricoltori si affidano spesso a fertilizzanti solubili, ma pur migliorando la resa questo rimane uno spreco e un danno per l’ambiente. Per comprendere meglio il processo di assorbimento del fosforo da parte delle piante, il progetto RootOutP, coordinato da van der Bom, ha sviluppato metodi di visualizzazione e quantificazione in situ.

Progressi nell’imaging delle radici e nella mappatura chimica

La complessa reattività del fosforo nel suolo significa che esiste in molte forme a seconda di fattori quali: le proprietà locali del suolo e l’eventuale incorporazione nella biomassa. Queste variabili complicano le valutazioni sulla sua disponibilità per le piante. «In pratica ci limitiamo a stime approssimative che non sono cambiate molto dagli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso», aggiunge l’autore. Le radici delle piante hanno adottato diverse strategie per migliorare la cattura del fosforo, tra cui la capacità di far proliferare le radici in zone ad alta disponibilità e/o di manipolare il loro ambiente chimico rizosfera(si apre in una nuova finestra). Una sfida fondamentale per la valutazione di queste strategie è l’opacità del suolo. Come dice van der Bom: «Non possiamo osservare le radici come le piante in superficie, in realtà sappiamo sorprendentemente poco di ciò che accade sotto terra. Volevamo cambiare questa situazione». Per questo motivo, molti studi sono condotti in laboratorio o in serra, utilizzando mezzi artificiali (come sabbia, gel, idroponica) o set-up sperimentali per osservazioni in 2D. Di solito si raccolgono campioni, si lava il terreno e si misurano le proprietà delle radici. Ma oltre a essere laborioso e costoso, una parte dell’apparato radicale va invariabilmente persa, insieme a gran parte della struttura. In RootOutP, gli studi sono stati condotti utilizzando una procedura con tomografia computerizzata a raggi X 3D(si apre in una nuova finestra), integrata dall’uso dello Australian Synchrotron(si apre in una nuova finestra). Il progetto ha analizzato l’architettura radicale delle piante di frumento e la loro risposta a diversi apporti di fosforo, in 3D e 4D (nel tempo). Le radici sono state poi «segmentate», separate digitalmente dal terreno. Si tratta di una procedura impegnativa, poiché le caratteristiche del suolo, come i pori pieni d’acqua, assomigliano alle radici, che a loro volta possono variare in lunghezza. Per raggiungere questo obiettivo, il team ha collaborato con i partner per sviluppare potenti approcci di apprendimento profondo. In secondo luogo, il progetto si è proposto di mappare e quantificare la chimica intorno alle singole radici utilizzando, tra gli altri strumenti, la metodologia gradienti diffusivi in film sottili(si apre in una nuova finestra) (DGT). L’équipe ha potuto osservare le differenze nelle concentrazioni di citrato tra i genotipi selezionati e il loro rapporto con il pH della rizosfera e l’esaurimento del fosforo. «Siamo riusciti a osservare come sistemi radicali contrastanti abbiano risposto in modo plastico all’interno e intorno a un hotspot di fosforo, mettendolo in relazione con la chimica del fosforo in questa zona», spiega l’autore.

Interventi agricoli più mirati

Lo sfruttamento dei risultati di RootOutP potrebbe giovare alla selettocoltura delle piante, all’agronomia e alla sostenibilità. Ad esempio, le conoscenze del progetto potrebbero aiutare i selezionatori di piante a scegliere le radici migliori per l’assorbimento dei nutrienti nei futuri programmi di selettocoltura. Nel frattempo, van der Bom sta cercando finanziamenti per sviluppare ulteriormente le indagini in situ sulle interazioni tra radici e suolo, introducendo un nuovo campo per la ricerca e le applicazioni future. «Ma questo è troppo complesso per i soli scienziati del suolo e delle piante: dobbiamo collaborare con esperti di informatica», conclude il ricercatore. La ricerca è stata intrapresa grazie al supporto del programma di azioni Marie Skłodowska-Curie(si apre in una nuova finestra).

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