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Living bioelectronics: Bridging the interface between devices and tissues

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Nuovi dispositivi bionici uniscono biologia ed elettronica

Gli «elettrodi viventi», in cui le cellule ingegnerizzate interagiscono con i neuroni ospiti in modo controllato, potrebbero dare vita a una nuova generazione di impianti bionici.

I dispositivi bionici integrati, come gli impianti auricolari cocleari e gli occhi bionici, sono progettati per sostituire o integrare le funzioni naturali del corpo. Un problema rilevante, tuttavia, è legato alla meccanicità delle interfacce bioniche esistenti, rispetto ai tessuti umani. «I metalli tradizionali e i polimeri rigidi utilizzati possono provocare infiammazioni e cicatrici, che nel tempo riducono le prestazioni», spiega la coordinatrice del progetto Living Bionics, Rylie Green(si apre in una nuova finestra), dell’Imperial College(si apre in una nuova finestra) nel Regno Unito. «Anche i più piccoli movimenti possono causare danni microscopici.» Molti dispositivi bionici sono anche chimicamente inerti, ovvero non comunicano attivamente né si adattano all’ambiente biologico. Questa mancanza di integrazione è il motivo per cui le loro prestazioni generalmente diminuiscono dopo mesi o anni dall’impianto nel corpo.

Un ponte tra biologia ed elettronica

Il progetto Living Bionics, sostenuto dal Consiglio europeo della ricerca(si apre in una nuova finestra), si è prefissato di ripensare il collegamento tra biologia ed elettronica, nonché di realizzare interfacce che non siano solo tollerate dal corpo, ma ne diventino parte integrante. «Volevamo progettare “elettrodi viventi” che combinassero materiali morbidi e conduttivi con componenti biologici in grado di integrarsi direttamente con cellule e tessuti», afferma Green. «In sostanza, il nostro obiettivo era quello di abbandonare gli impianti rigidi e passare a sistemi adattativi e rigenerativi che si evolvono con il corpo.» Per raggiungere questo obiettivo, il progetto si è concentrato sullo sviluppo di materiali bioibridi, come idrogel, elastomeri e materiali modificati che contengono componenti nativi del corpo, in particolare del cervello. Questi materiali sono morbidi e flessibili come i tessuti, ma riescono comunque a trasmettere i segnali elettrici in modo efficiente. «Un altro elemento fondamentale è stata la combinazione di cellule staminali e degli stimoli necessari per produrre tessuto neurale sano all’interno del dispositivo», aggiunge Green.

Verso veri e propri «elettrodi viventi»

L’équipe del progetto ha costruito modelli 3D di tessuto neurale per studiare il modo in cui le cellule interagiscono con diverse composizioni chimiche dei materiali e ha valutato le prestazioni elettriche e meccaniche. Questi test hanno contribuito a dimostrare come alcuni nuovi materiali possano mantenere la conduttività e la vitalità cellulare per lunghi periodi. Ma soprattutto, il gruppo di ricerca è riuscito a dimostrare che è possibile aggiungere combinazioni di materiali e cellule all’interfaccia di un dispositivo bionico, nonché creare connessioni cellulari naturali con il tessuto cerebrale(si apre in una nuova finestra) adiacente. Il progetto ha raggiunto un altro punto di svolta importante: ha compreso infatti come le proprietà fisico-chimiche di alcuni polimeri e idrogel influenzano l’adesione cellulare e la funzione a lungo termine. «Concettualmente, abbiamo tracciato un percorso verso veri e propri “elettrodi viventi”, in cui le cellule ingegnerizzate possono interagire con i neuroni ospiti in modo controllato e stabile», spiega Green. «Abbiamo dimostrato che questo processo funziona non solo in vitro, ma anche nel cervello di un roditore vivo.»

Nuove terapie bioelettroniche rigenerative

I prossimi passi prevedono la convalida più rigorosa di questi sistemi su modelli animali per confermare la biocompatibilità a lungo termine e la stabilità del segnale. I metodi di fabbricazione devono ancora essere perfezionati affinché i materiali possano essere ridimensionati e sterilizzati per l’uso clinico. «La collaborazione con i partner del settore sarà fondamentale per orientarsi tra i requisiti normativi e svolgere i primi studi di fattibilità sull’essere umano», aggiunge Green. Nel lungo termine, Green e colleghi sperano che questo lavoro ridefinisca il concetto di «impianto medico». «Invece di hardware inerte che si degrada nel tempo, immaginiamo sistemi viventi e adattabili che guariscono insieme al corpo e ripristinano le funzioni in modo più naturale», afferma la coordinatrice del progetto. «Questo aprirebbe la strada a una nuova generazione di terapie bioelettroniche rigenerative, in cui il confine tra dispositivo e tessuto diventa quasi inconfondibile.»

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