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Indagine rivela una molteplicità di approcci in materia di comunicazione del rischio nell'UE

Da un'indagine condotta negli Stati membri dell'UE e in altri sei paesi è emerso che la pratica della comunicazione del rischio varia in misura sostanziale a seconda dei paesi. Gli autori della relazione su questa ricerca chiedono l'istituzione di un forum annuale per consenti...

Da un'indagine condotta negli Stati membri dell'UE e in altri sei paesi è emerso che la pratica della comunicazione del rischio varia in misura sostanziale a seconda dei paesi. Gli autori della relazione su questa ricerca chiedono l'istituzione di un forum annuale per consentire lo scambio delle buone pratiche. Gli esperti in materia di rischi considerano la comunicazione del rischio come il punto chiave del processo di gestione dei rischi. Nel 2002, l'Organizzazione internazionale di normalizzazione (ISO) ha concordato una definizione di comunicazione del rischio, ovvero "scambio o condivisione di informazioni sul rischio fra i responsabili delle decisioni e altre parti interessate". Per accertare se tale definizione rifletteva la prassi in materia di comunicazione del rischio, il consorzio STARC (Stakeholders in Risk Communication), un progetto sostenuto a titolo del Sesto programma quadro (6PQ), ha condotto un'indagine nei 25 Stati membri dell'UE e in altri sei paesi - Australia, Canada, Giappone, Norvegia, Svizzera e Stati Uniti - volta ad analizzare gli usi e le pratiche seguite nell'ambito della comunicazione del rischio. L'analisi era tesa, innanzitutto, a verificare se nei paesi venivano applicati requisiti giuridici ai fini della comunicazione del rischio al pubblico. La maggior parte dei paesi seguiva linee guida obbligatorie, assenti in una piccola minoranza di essi. L'approccio della Danimarca era rappresentativo. In questo paese, ciascuna autorità è responsabile della diffusione di informazioni ai cittadini in caso di crisi nel proprio settore di competenza. Il modello danese attribuisce una grande importanza al fatto di fornire al pubblico e ai mezzi di comunicazione informazioni reali e tempestive. In alcuni paesi, la comunicazione al pubblico di messaggi d'allarme spetta ad organizzazioni di mezzi di comunicazione. Tuttavia, pochi Stati, ossia Germania, Portogallo e Svezia, hanno basato il proprio quadro giuridico sulla direttiva comunitaria Seveso II sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti, secondo cui la comunicazione è la trasmissione di informazioni al pubblico, nonché l'interazione con le parti interessate. Gli autori della relazione propongono che un maggior numero di paesi si doti di quadri giuridici specifici in questo settore, utilizzando quale fondamento la direttiva comunitaria. La maggioranza dei paesi esaminati non impone alle imprese quotate in borsa di inserire nelle relazioni annuali un'indagine sulla valutazione dei rischi e sulle modalità di gestione dei rischi da esse seguite. Fra le nazioni che prevedono tali obblighi, la Finlandia potrebbe essere considerata un esempio rappresentativo. Essa impone ai settori regolamentati, in cui sono attive imprese di telecomunicazioni, approvvigionamento energetico, assistenza sanitaria, banche e assicurazioni, aziende di approvvigionamento idrico e trasporti, di descrivere nei dettagli l'esercizio di comunicazione e gestione dei rischi. Nella provincia del Québec, le industrie devono elaborare un inventario dei pericoli per il pubblico e trasmetterlo al governo comunale e/o provinciale, ai sensi della legge sulla protezione civile del Québec. Quasi tutti gli intervistati hanno sostenuto che le industrie "a rischio" devono fornire al pubblico una valutazione dei rischi cui esse devono fare fronte, e indicare le modalità di gestione di detti rischi. Austria, Estonia e Grecia erano i soli paesi a non avere questo tipo di legislazione. Gli intervistati hanno citato come "a rischio" l'industria chimica, farmaceutica, nucleare ed energetica, le attività relative a petrolio e gas e/o quelle coperte dalla direttiva Seveso II. Dall'indagine è emerso che in genere le disposizioni in materia di comunicazione del rischio fanno parte di un piano globale per la gestione dei rischi. Solo pochi paesi, ovvero Regno Unito, Finlandia, Grecia, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia e Slovenia avevano elaborato o erano in procinto di elaborare piani di comunicazione a sé stanti. Gli autori della relazione raccomandano l'adozione di linee guida sia generiche sia specifiche. Come esempio di buona pratica è stato citato il Regno Unito, che prevede piani specifici di comunicazione dei rischi per ciascun settore, nonché una forma di consulenza generica. Secondo gli autori, sono pochi i paesi a disporre di qualcosa di analogo. Sebbene i risultati dell'indagine rivelino alcune tendenze comuni, altre questioni hanno evidenziato maggiori divergenze. Le stesse percentuali di intervistati hanno segnalato che la comunicazione del rischio iniziava in tre fasi distinte: nelle fasi di valutazione preliminare e di valutazione; dopo la fase di valutazione, quando vengono prese in considerazione le differenti opzioni per la gestione del rischio; dopo la scelta di una delle opzioni. Analizzando le risposte, gli autori della relazione hanno ritenuto che la prima opzione fosse la migliore pratica e hanno osservato come una consultazione consentirebbe alle parti interessate, compreso il pubblico, di fornire informazioni che altrimenti potrebbero non essere comunicate dagli esperti. "È importante, ovviamente, che la decisione su come gestire un rischio tenga conto dei punti di vista e delle opinioni delle parti interessate se si vuole che possa avere una qualche prospettiva di accettabilità sociale e politica", si legge nel documento. In verità, il ruolo delle parti interessate nella comunicazione del rischio è considerato importante, e una sezione rilevante dell'indagine è dedicata a questo aspetto. Nello specifico, è stato chiesto agli intervistati se si rivolgevano agli interessati per conoscerne il parere e se le osservazioni di questi ultimi venivano rese pubbliche. Quasi tutti gli intervistati hanno dichiarato di accogliere con favore le opinioni delle parti interessate e delle organizzazioni della società civile, ma solo i piani di nove paesi contenevano disposizioni specifiche per individuare quegli attori. Per quanto riguarda la pubblicazione delle opinioni degli interessati, metà degli intervistati ha dichiarato che i piani di gestione dei rischi contenevano disposizioni per avviare consultazioni pubbliche in merito a pericoli specifici. Secondo gli autori della relazione, la creazione di legami più stretti con gli interessati non dovrebbe essere considerata come una necessità burocratica, ma dovrebbe servire piuttosto a potenziare la gestione dei rischi in generale e a rafforzare l'accettazione di una decisione sul modo migliore di gestire un rischio particolare. "Incoraggiando attivamente tutte le parti interessate a partecipare, si eviterà il pericolo che alcuni soggetti con interessi consolidati riescano a monopolizzare gli organi di regolamentazione", sostengono. In considerazione delle differenze osservate fra gli approcci e le pratiche in materia di comunicazione dei rischi, la relazione raccomanda l'introduzione di un forum strutturato negli Stati membri dell'UE per lo scambio di opinioni sulle buone pratiche. "Non crediamo sia utile né auspicabile forzare l'armonizzazione delle pratiche di comunicazione del rischio negli Stati membri; tuttavia, uno scambio di esperienze su cosa ha funzionato e cosa non ha funzionato in determinate situazioni favorirebbe presumibilmente una migliore comunicazione del rischio, una consultazione più efficace delle parti interessate e un coordinamento più adeguato, a livello sia orizzontale sia verticale, in particolare fra i governi", si legge nella relazione. La relazione osserva che pur avendo l'Europa una significativa esperienza nella comunicazione dei rischi, un forum potrebbe trarre beneficio dalla competenza di altri paesi non comunitari, quali Australia e Canada. Il documento conclude raccomandando alla Commissione europea di istituire un forum per i gestori dei rischi e gli addetti alla comunicazione del rischio designati dai governi, ma non limitato ad essi. Sarebbe utile, inoltre, invitare i rappresentanti omologhi delle industrie "a rischio", suggerisce la relazione.