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iRhom2 in neuroinflammation and pathogenesis of Alzheimer’s Disease

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Il controllo della proteina iRhom2 potrebbe essere la chiave per prevenire la malattia di Alzheimer

Un quarto delle persone di età superiore ai 65 anni viene colpito in modo diretto dalla malattia di Alzheimer (AD), caratterizzata da perdita di memoria e declino cognitivo, con impatti socio-economici drammatici. Il progetto iRhom2 in AD si è proposto di avvicinarci non solo a una cura, ma anche alla prevenzione.

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È noto che l’insorgenza dell’AD è associata all’accumulo di peptidi di beta-amiloide (Aβ) in piccoli cluster molecolari noti come oligomeri. Questi innescano la formazione dei cosiddetti «grovigli neurofibrillari» all’interno dei neuroni che ostacolano il loro funzionamento, provocando in definitiva la morte cellulare e un significativo declino cognitivo. È inoltre riconosciuto che, insieme alla neuroinfiammazione, anche le placche molto grandi di oligomeri Aβ che si formano al di fuori dei neuroni giocano un ruolo chiave nella progressione della malattia. Il progetto iRhom2 in AD, finanziato dall’UE, ha preso come suo punto di partenza la proteina iRhom2, che è stata identificata come un fattore di rischio genetico per l’AD a causa delle sue proprietà pro-infiammatorie. Il gruppo di ricerca è stato in grado di esplorare ulteriormente l’influenza della proteina iRhom2 sulla neuroinfiammazione nei topi. Modulazione della proteina iRhom2 La iRhom2 è recentemente emersa come proteina importante nell’AD, in quanto favorisce la maturazione di un enzima denominato TACE (enzima di conversione del fattore di necrosi tumorale α) che la guida verso la membrana plasmatica di una cellula dove l’enzima rilascia una citochina di segnalazione cellulare (TNFα), implicata nella regolazione dei processi infiammatori. Studi sui topi hanno dimostrato che l’infiammazione TNFα-dipendente può portare a sepsi e artrite reumatoide, ma si pensa anche che il processo contribuisca a eventi di segnalazione neuroinfiammatoria, in grado di provocare danni al cervello. Il progetto iRhom2 in AD, finanziato dall’UE, ha lavorato con topi che sono inclini a sviluppare le caratteristiche dell’AD, placche amiloidi e deficit di memoria. Il gruppo di ricerca ha alterato geneticamente la iRhom2 nei topi, quindi ha analizzato la progressione della patologia utilizzando una serie di metodi biochimici e istologici, insieme a una serie di test comportamentali per valutare il declino cognitivo. I risultati sono stati alquanto sorprendenti, come ricorda il coordinatore del progetto, il dott. Stefan Lichtenthaler: «Inizialmente abbiamo ipotizzato che la proteina iRhom2 avrebbe influito su un aspetto specifico della neuroinfiammazione nell’AD. Ciò che abbiamo scoperto è stato ancora più eccitante in quanto essa effettivamente influenza diversi aspetti della neuroinfiammazione contemporaneamente. La modulazione della iRhom2 sembra quindi particolarmente adatta a interferire con l’AD». Oltre il trattamento verso la prevenzione Anche se l’AD è una malattia tipica degli anziani, nel 5-10% di tutti i casi si potrebbe avere un’insorgenza più precoce, specialmente quando si tratta di casi di AD familiare. Come spiega il prof. Lichtenthaler, «Poiché i primi cambiamenti in un cervello con AD avvengono 25 anni prima dell’insorgenza dei sintomi di AD, per arrestare la malattia dobbiamo trattare le cause e non solo i sintomi, ovviamente anni prima dell’insorgenza della malattia stessa. Dobbiamo quindi andare oltre la terapia e verso la prevenzione.» Tuttavia, fino a poco tempo fa, tutte le potenziali cure sono state testate in pazienti che avevano già sviluppato la malattia e quindi, per definizione, applicate troppo tardi nel processo. I farmaci oggi vengono testati esclusivamente prima dell’inizio dei sintomi. Ma questi studi longitudinali, che seguono i soggetti da quando sono esenti dalla malattia fino a quando non ne sviluppano i sintomi, non produrranno risultati fino almeno al 2024. Un altro ostacolo da superare è la necessità di una nuova diagnosi che possa indicare chi probabilmente svilupperà la malattia negli anni a venire. L’identificazione della iRhom2 come nuovo bersaglio terapeutico per l’AD pone le basi per lo sviluppo futuro di farmaci in grado di modulare la proteina. Come dice il prof. Lichtenthaler, «Questi farmaci utilizzati per il trattamento della malattia potrebbero avere un impatto eccezionale sul miglioramento della vita di molte persone. Fondamentalmente, questa terapia potrebbe essere utilizzata non solo a scopo preventivo, ma anche potenzialmente per aiutare i pazienti che presentano già i sintomi della malattia». Il team del progetto è attualmente impegnato a comprendere meglio il meccanismo preciso con cui la iRhom2 influenza l’AD a livello molecolare e ad applicare questa conoscenza per i farmaci che possono bloccare l’attività della iRhom2 nei pazienti.

Parole chiave

iRhom2 in AD, Alzheimer, proteina, peptide, neuroinfiammazione, malattia, declino cognitivo, placche amiloidi, deficit di memoria, enzima, grovigli neurofibrillari

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