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Lab-in-a-patch for PKU self-assessment

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Nuovi biosensori aiutano a controllare la fenilchetonuria

Il team del progetto LABPATCH sta sviluppando due innovativi biosensori per aiutare il personale medico a rilevare meglio i livelli di fenilalanina, un indicatore fondamentale della fenilchetonuria.

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La fenilchetonuria (PhenylKetonUria, PKU) è un raro difetto congenito che determina un aumento del metabolismo dell’aminoacido fenilalanina. Se non trattata, la malattia può causare disabilità intellettive, crisi convulsive, disturbi mentali e problemi comportamentali. Tuttavia, se rilevata precocemente mediante programmi di screening neonatale, la malattia può essere gestita attraverso una dieta rigorosamente controllata. Sfortunatamente, a causa di una combinazione di fattori, quali la rarità della malattia, la complessità dei test e gli elevati costi delle apparecchiature di laboratorio necessarie, numerosi ospedali situati nei paesi in via di sviluppo non eseguono screening regolari per la PKU. Il problema è ulteriormente complicato dal fatto che attualmente il monitoraggio domiciliare dei livelli ematici di fenilalanina non è realizzabile. Il progetto LABPATCH (Lab-in-a-patch for PKU self-assessment), finanziato dal CER, si propone di cambiare questa situazione attraverso lo sviluppo di biosensori basati su enzimi in grado di rilevare facilmente i livelli di fenilalanina (L-Phe), un indicatore fondamentale della PKU. «Grazie alla riduzione dei costi dei materiali utilizzati per le misurazioni, i biosensori LABPATCH saranno accessibili a ospedali e pazienti nei paesi in via di sviluppo», dichiara Paul Soto, un ricercatore coinvolto nel progetto.

Due biosensori innovativi

Basandosi sul lavoro nel campo dei biosensori svolto nel corso di un precedente progetto finanziato dall’UE, denominato LT-NRBS, i ricercatori del progetto LABPATCH stanno ora sviluppando un biosensore enzimatico spettrofotometrico e un biosensore elettrochimico. Per quanto riguarda il primo, i saggi enzimatici utilizzati per misurare la concentrazione dei livelli di L-Phe vengono realizzati in piastre a 96 pozzetti. Ciò permette di analizzare contemporaneamente i campioni di più pazienti adoperando un metodo ad alte prestazioni, con conseguente possibilità di monitorare più frequentemente i livelli di L-Phe. «Il biosensore presenta un’elevata sensibilità nell’intervallo di concentrazione fisiologico della L-Phe, per cui è in grado di rilevare i livelli di L-Phe associati all’insorgenza della PKU», spiega Morgane Valles, una ricercatrice del progetto. «Il funzionamento del biosensore è basato sull’uso di enzimi immobilizzati, un sistema che ne aumenta la durata e lo rende più economico e più facile da utilizzare». Per quanto riguarda il biosensore elettrochimico, il paziente indossa il dispositivo a casa come un cerotto. Il cerotto contiene elettrodi modificati con biorecettori selettivi per la Phe che rilevano automaticamente i livelli di questa molecola nel sudore in maniera non invasiva, senza richiedere competenze mediche o strutture costose. Il cerotto è collegato a un’unità di controllo miniaturizzata che gestisce il funzionamento degli elettrodi e consente la trasmissione wireless dei dati a un dispositivo esterno (ossia uno smartphone o un tablet). Convalidati su campioni anonimi di sangue umano, a cui sono state aggiunte concentrazioni diverse di fenilalanina, i biosensori LABPATCH hanno fornito misurazioni riproducibili tra i vari lotti di campioni.

Rendere la rilevazione precoce più accessibile

Grazie allo sviluppo di biosensori a basso costo e di facile utilizzo, il progetto LABPATCH ha tutte le carte in regola per avere un impatto notevole sulla rilevazione della PKU nei paesi in via di sviluppo. «Solitamente, le concentrazioni ematiche di Phe vengono analizzate soltanto in laboratori specializzati e con una frequenza di una o due sole volte al mese», afferma Rafael Artuch, un ricercatore del progetto. «Ma grazie a LABPATCH, i pazienti possono monitorare i livelli di Phe a casa propria, fornendo ai medici i dati di cui hanno bisogno per controllare meglio la malattia». Nonostante questi successi, i ricercatori del progetto ritengono che esistano margini di miglioramento, in particolare per quanto riguarda la riproducibilità e l’instabilità chimica e termica dei biosensori. «Questi inconvenienti intrinseci alla tecnologia dei sensori basati su enzimi possono essere attenuati attraverso un’adeguata caratterizzazione dei biosensori e tecniche di ingegneria delle proteine», aggiunge Soto. «Questi miglioramenti saranno il fulcro della prossima fase del progetto».

Parole chiave

LABPATCH, biosensore, fenilchetonuria, PKU, fenilalanina, L-Phe, LT-NRBS, biosensore enzimatico spettrofotometrico

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