Tendenze scientifiche: COVID-19, un po’ di contegno! Dalla preistoria al comportamento quotidiano, perché violiamo le norme di distanziamento fisico
Gli esseri umani vengono indicati come animali sociali: il desiderio di essere fisicamente vicini agli altri è insito nella nostra natura. Dagli albori del genere umano, vige la forza del numero attraverso una qualche forma di rete sociale. Noi esseri umani, assieme ai nostri antenati, siamo creature socievoli sin dall’età della pietra. Diversi studi(si apre in una nuova finestra) dimostrano che i cacciatori-raccoglitori formavano gruppi poiché era più efficiente per loro individuare abbastanza cibo per la sopravvivenza collettiva. Agendo insieme, essi erano in grado di tenere lontane le minacce animali o umane in un modo molto più efficace. Altri studi(si apre in una nuova finestra) rivelano che nel corso del nostro ciclo evolutivo abbiamo formato società molto sofisticate con un duplice obiettivo: la sopravvivenza e il miglioramento delle nostre vite. Abbiamo sempre fatto notevole affidamento gli uni sugli altri per sopravvivere. Tuttavia, a differenza dell’epoca preistorica, oggi ci affidiamo a persone in tutto il mondo per lo svolgimento di diverse funzioni fondamentali alla sopravvivenza. «La nostra società è tale da avere una divisione del lavoro e un mondo intero ancora più complesso che persino il più intelligente fra noi avrebbe difficoltà a capire. Ciascuno di noi comprende un piccolo frammento del mondo; il resto viene acquisito a livello sociale», ha dichiarato alla «CNN»(si apre in una nuova finestra) Michael Muthukrishna, docente assistente di psicologia economica alla London School of Economics and Political Science. «È ciò che chiamiamo l’illusione della profondità esplicativa: crediamo di capire in che modo funziona il mondo, ma la nostra comprensione è in realtà molto scarsa su gran parte delle cose. Siamo contenti di credere alle persone che la possiedono».
Le decisioni comportamentali dietro al contatto non necessario
Il comportamento svolge inoltre un ruolo di primo piano nell’ignorare il distanziamento fisico. Un esempio degno di nota è il bias cognitivo, un errore sistematico nel pensiero che condiziona le decisioni e i giudizi delle persone. «In situazioni ambigue, le persone cercano indizi sociali dagli altri» ha dichiarato a «The Atlantic»(si apre in una nuova finestra) Baruch Fischhoff, professore presso il Dipartimento di ingegneria e politica pubblica e l’Istituto di politica e strategia dell’Università Carnegie Mellon, che svolge ricerche su giudizio e processo decisionale umano. «Si dice: “Beh, se altre persone lo stanno facendo, forse sanno qualcosa sul fatto che si tratti o meno di un rischio accettabile”». Il bias del presente è un fattore psicologico chiave che contribuisce in larga misura allo stare a casa ed evitare il contatto ravvicinato. Un articolo di «Psychology Today»(si apre in una nuova finestra) spiega: «Una persona con bias del presente darà troppo peso a costi e benefici del presente e poca importanza a quelli futuri. Essa attribuirà un valore inferiore ad attività di promozione della salute, quali prevenzione e trattamento, che condurrebbero a benefici sul lungo termine». «Perciò, il successo di campagne di sanità pubblica che sottolineano i vantaggi sul lungo termine dell’adozione del distanziamento sociale è poco probabile se i destinatari a cui si rivolgono queste informazioni possiedono un bias del presente. Tale costruzione cognitiva desta preoccupazioni per i funzionari pubblici, poiché le decisioni di alcuni individui potrebbero avere conseguenze per altri». La rivista prosegue: «Il futuro (ad esempio, due settimane) è molto lontano, in particolare nel caso in cui essi abbiano di fronte tentazioni attraenti (socializzare con gli amici) in questo momento. Ciò diventa più difficile quando non esiste una fine prevedibile della restrizione».