Il modo in cui il cervello elabora e integra i differenti input visivi
La fovea è una porzione di solo 1 o 2 gradi al centro del campo visivo. La visione periferica è più ampia ed è vitale per l’orientamento e la mobilità, che sarebbero difficili con il solo utilizzo della piccola apertura foveale. Poiché entrambi i campi visivi richiedono un’elaborazione molto diversa, il progetto PERFORM, sostenuto dal Consiglio europeo della ricerca, ha studiato in che modo il cervello si adegua a tali variazioni degli input sensoriali per ottenere rappresentazioni coese dell’ambiente. Il progetto ha scoperto che il cervello non scarta semplicemente le informazioni periferiche nel momento in cui sono disponibili informazioni foveali superiori, ma mette a confronto gli input provenienti da entrambe, valutandone la relativa affidabilità. «Questa elaborazione, chiamata percezione visiva transaccadica, costituisce un calcolo estremamente complesso e poco compreso per il quale siamo riusciti a riaccendere l’interesse», aggiunge il coordinatore del progetto Alexander Schütz della Philipps University di Marburgo, l’ente che ha ospitato il progetto. In effetti, i risultati del progetto sono stati citati in un numero speciale del «Journal of Vision».
Esaminare l’integrazione transaccadica
L’elaborazione della visione foveale è ottimizzata per l’acuità molto elevata e la percezione dei colori, mentre l’elaborazione periferica è ottimizzata per un ampio campo visivo, che richiede minore elaborazione. Ciò significa che la visione periferica viene utilizzata per il movimento e la localizzazione spaziale degli oggetti, ma non presenta dati certi di dettaglio. Per compensare, l’occhio compie rapidi movimenti, noti come saccadi, per far sì che l’elaborazione visiva passi da una visione all’altra. «In PERFORM, abbiamo adottato informazioni e modelli matematici derivati dal campo della percezione multisensoriale e li abbiamo applicati all’elaborazione visiva, in particolare all’integrazione delle informazioni periferiche e foveali, ovvero la cosiddetta integrazione transaccadica», spiega Schütz. Il team ha condotto una serie di esperimenti psicofisici su bambini e adulti in un laboratorio dotato di pareti nere, schermi appositi e un dispositivo di tracciamento oculare. Sono stati seguiti i movimenti oculari dei soggetti mentre reagivano agli stimoli visivi a livello periferico e spostavano automaticamente lo sguardo verso di loro, ovvero compivano delle saccadi. Ai soggetti sono stati assegnati dei compiti di discriminazione delle percezioni, tra cui quello di esprimere giudizi sulla localizzazione, l’orientamento o il colore degli stimoli. I risultati sono stati confrontati a un modello computazionale che prevedeva il modo in cui i partecipanti avrebbero soppesato le informazioni periferiche e foveali.
Sviluppo e strategie della visione
Un risultato importante è stato verificare che nei bambini la precisione del sistema visivo e del movimento oculare è limitata. In un esperimento, i bambini di età compresa tra 7 e 12 anni hanno mostrato prestazioni inferiori a quelle degli adulti nel rilevare gli spostamenti degli stimoli, ed è stato scoperto inoltre che i loro movimenti oculari erano più variabili. Ma gli stessi bambini hanno corretto i propri errori con movimenti oculari successivi più rapidamente degli adulti, il che ha suggerito una compensazione innata per tali limitazioni. Il team ha dimostrato inoltre che l’integrazione transaccadica è limitata dall’attenzione e dalla memoria, e che si applica solo a un unico oggetto selezionato. «Tale integrazione sembrava interrompersi, o almeno risultare compromessa, quando veniva mostrato rapidamente uno stimolo distrattore o se i partecipanti dovevano memorizzare un altro stimolo», afferma Schütz. Un’altra scoperta riguarda il cosiddetto scotoma foveale dei bastoncelli, che sono i fotorecettori utilizzati dagli esseri umani in condizioni di scarsa illuminazione ma, data la loro assenza nella fovea, non è chiaro in che modo avvenga la compensazione. «Abbiamo scoperto che questa informazione mancante è continuamente aggiunta dalle informazioni circostanti, senza distorsioni percepite a livello della fovea. Sebbene tale informazione sia puramente dedotta, i partecipanti fanno maggiore affidamento su di essa che sulle effettive informazioni periferiche», osserva Schütz. Questa scoperta ha dato origine al nuovo progetto, SENCES, che studia il modo in cui il cervello colma le lacune delle proprie informazioni sensoriali e confronta le sue inferenze compensative con gli effettivi input sensoriali.
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