Una possibile rivoluzione nella diagnosi dell’Alzheimer grazie alle analisi del sangue
Il morbo di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa che provoca la maggior parte dei casi di demenza. Si ritiene che i fattori di rischio siano sia di tipo genetico che ambientale. Il marcatore molecolare più precoce dell’Alzheimer è rappresentato dall’aggregazione nel tessuto del cervello di un betamiloide, un peptide costituito da amminoacidi, noto come Abeta42. I betamiloidi vengono prodotti dai neuroni in circa 20 forme differenti. Quando Abeta42 si accumula nel cervello, la concentrazione di betamiloidi diminuisce nel liquido cerebrospinale lombare (LCL). La misurazione di questa riduzione offre il primo biomarcatore noto dell’Alzheimer. Il progetto PATHAD, intrapreso con il sostegno del programma di azioni Marie Skłodowska-Curie, ha ridefinito le misurazioni della patologia amiloide nel tessuto cerebrale, sviluppando al contempo esami del sangue e analisi dell’LCL per la stessa malattia. PATHAD ha inoltre sviluppato diversi marcatori di risposte all’intervento, tra cui la disfunzione neuronale, l’attivazione astrocitica e l’attivazione microgliale. «Saranno soprattutto gli esami del sangue a rivoluzionare la diagnosi del morbo di Alzheimer. Sappiamo inoltre che alcuni test suggeriscono la validità dei trattamenti anti-amiloide. Sono molto fiducioso del fatto che saremo presto in grado di prescrivere trattamenti ai pazienti che manifestano segnali precoci di Alzheimer e biomarcatori ematici positivi, monitorandone l’efficacia per mezzo degli stessi biomarcatori», afferma Henrik Zetterberg, il coordinatore del progetto.
Approfondire i percorsi molecolari dell’Alzheimer
PATHAD ha lavorato con tessuti cerebrali donati post-mortem, raffrontando campioni positivi all’Alzheimer con altri negativi alla patologia, oppure con altre malattie neurodegenerative. Sono stati quindi sviluppati test sensibili per rilevare i cambiamenti nei biomarcatori cerebrali, che successivamente sono stati analizzati anche nel sangue e nell’LCL. PATHAD si è avvalso della spettrometria di massa, che funziona su scale molecolari estremamente sensibili, e degli «immunodosaggi a sandwich», in cui gli anticorpi marcati vengono utilizzati per cogliere e rilevare le molecole bersaglio. Per approfondire gli esami del sangue e le analisi dell’LCL, i ricercatori hanno impiegato campioni di donatori prima e dopo una diagnosi di Alzheimer, il che ha consentito di acquisire ulteriori informazioni sul momento in cui diversi biomarcatori diventano positivi, nonché di tracciare la comparsa delle patologie. I risultati hanno ampiamente confermato la cosiddetta «ipotesi della cascata amiloide», secondo cui il morbo Alzheimer avrebbe inizio con la patologia amiloide che porterebbe a una reazione tissutale in cui i neuroni secernono proteine tau, oltre ad attivare le cellule degli astrociti e delle microglia. Combinate, esse si dimostrano tossiche e riducono progressivamente la funzione cerebrale. Il team ha inoltre scoperto che l’esordio di questo impatto tossico si verifica prima di quanto supposto in precedenza, in quanto sembra incidere immediatamente sulle sinapsi e sugli assoni dei neuroni vicini, mentre la patologia degli ammassi di proteine tau e la neurodegenerazione avvengono posteriormente. «Abbiamo avuto successo con una serie di biomarcatori basati sui biofluidi. Abbiamo ora a disposizione esami del sangue affidabili per la patologia amiloide e quella tau, nonché per la neurodegenerazione e l’attivazione astrocitica», aggiunge Zetterberg, ricercatore attivo presso l’Università di Göteborg, l’ateneo che ha ospitato il progetto. «Dato che rappresentano l’analisi più semplice, stiamo concentrando l’attenzione sui biomarcatori ematici; svilupperemo tuttavia anche biomarcatori dell’LCL ultrasensibili, utili nel caso in cui gli esami del sangue si dimostrassero impraticabili.»
Il potenziale per rivoluzionare la diagnosi della neurodegenerazione
I risultati di PATHAD potrebbero contribuire a sviluppare strumenti semplici, accessibili ed economici per la diagnosi del morbo di Alzheimer. I test potrebbero essere svolti anche in contesti di assistenza primaria, sebbene sarebbero comunque necessarie valutazioni da parte di specialisti, tecniche di neuroimaging avanzate e analisi dell’LCL. I dati di PATHAD confermano ulteriormente una combinazione di produzione maggiore di più tipologie di betamiloide e di una loro clearance difettosa come fattori in grado di accelerare la patologia, sostenendo l’idea che entrambi i processi possano essere bersagli di trattamento promettenti. Attraverso un consorzio globale di follow-up finanziato dall’Alzheimer’s Association e dalla Foundation for the National Institutes of Health, il team è ora al lavoro per immettere questi nuovi biomarcatori ematici nella pratica clinica. «Data l’efficienza di questi test ultrasensibili, abbiamo anche avviato lavori analoghi per altri biomarcatori neurodegenerativi come l’alfa-sinucleina e le proteine TDP-43, utili inoltre per altre patologie, come il morbo di Parkinson», conclude Zetterberg.
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