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Unveiling the properties of the first galaxies through their connection with the intergalactic medium

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Svelare la nascita delle prime galassie

Un progetto ha cercato di rispondere ad alcune delle molte domande ancora da risolvere in merito alle origini delle prime galassie.

Da migliaia di anni gli scienziati guardano le stelle per comprendere il nostro universo. Vi sono ancora molte domande senza risposta in relazione alla formazione e all’evoluzione delle galassie nei primi anni della loro esistenza: come si sono formate esattamente, e con che velocità si è verificato questo fenomeno? Con il progetto GalaxyConnect, finanziato dall’UE e intrapreso con il sostegno del programma di azioni Marie Skłodowska-Curie(si apre in una nuova finestra), un team di ricercatori ha adottato tecniche di ricerca all’avanguardia per cercare di rispondere ad alcuni di questi interrogativi. Il progetto si è avvalso di simulazioni cosmologiche per effettuare una modellizzazione della connessione tra le galassie e il mezzo intergalattico, un gas caldo che, sulla base di quanto ipotizzato, occuperebbe lo spazio esistente tra di esse. «Nell’ambito del progetto abbiamo effettuato la più precisa misurazione mai compiuta fino ad ora del momento in cui è stato completato il riscaldamento dell’universo», spiega Laura Keating(si apre in una nuova finestra), assegnataria di una borsa di studio Elizabeth Gardner presso l’Università di Edimburgo(si apre in una nuova finestra) e ricercatrice principale del progetto GalaxyConnect.

Un’indagine sul mezzo intergalattico e sui deflussi delle galassie

Il mezzo intergalattico e l’evoluzione delle galassie sono strettamente collegati tra loro: il gas può scorrere dall’uno alle altre, e queste ultime lo utilizzano come combustibile per formare nuove stelle. La luce proveniente dalle stelle all’interno delle galassie è quindi in grado di riscaldare il gas intergalattico. «Un modo per osservare i segni della formazione delle galassie nel mezzo intergalattico è quello di tracciare come e quando si riscalda questo gas», spiega Keating. Quando le stelle muoiono, possono esplodere e spingere di conseguenza il gas verso il mezzo galattico. Un altro obiettivo del progetto era quello di comprendere i processi fisici alla base di questi «deflussi».

Scoprire come si è riscaldato l’universo primordiale

Anteriormente alla formazione delle prime stelle e galassie, in seguito alla quale la loro luce iniziò a riscaldare il gas intergalattico, l’universo era un luogo molto freddo: esso era ancora pervaso di un gas gelido, simile a una nebbia che oscura tutto ciò che è distante. Questo gas freddo, infatti, è in grado di assorbire la luce a determinati colori, da cui ne deriva il fatto che alcuni oggetti lontani mostrano una luce mancante. «Se misuriamo il punto nella storia dell’universo in cui non osserviamo più questa luce mancante, possiamo stabilire il momento in cui il gas è stato finalmente del tutto riscaldato dalle prime stelle, e questa informazione ci consente di determinare quando si sono formate le prime stelle e galassie», aggiunge Keating. Il team di GalaxyConnect ha confrontato i dati osservazionali con i risultati ricavati da grandi simulazioni del mezzo intergalattico in modo da giungere alla misurazione del momento in cui è stato completato il riscaldamento dell’universo: 150 milioni di anni più tardi rispetto a quanto si ritenesse in precedenza.

Cosmologia di prossima generazione

Lo studio indiretto di queste prime galassie attraverso le modalità e le tempistiche con cui hanno riscaldato il gas intergalattico è attualmente uno degli unici modi in cui gli scienziati possono approfondire questi oggetti. La ricerca svolta da GalaxyConnect aiuterà altri cosmologi a studiare l’universo primordiale, in particolare a partire da quando verrà costruita la prossima generazione di grandi telescopi, come l’Extremely Large Telescope(si apre in una nuova finestra) europeo in Cile, di 39 metri di diametro. Questi telescopi permetteranno agli scienziati di ampliare la loro analisi del gas intergalattico attraverso l’osservazione di oggetti più deboli, osserva Keating, che ora sta continuando la sua ricerca rivestendo un nuovo incarico presso l’Università di Edimburgo. «È un momento molto entusiasmante per lavorare in questo settore, alla luce del lancio avvenuto l’anno scorso del nuovo telescopio spaziale James Webb(si apre in una nuova finestra) (JWST, James Webb Space Telescope)», spiega Keating, che conclude: «Questo apparecchio sta fornendo molte nuove osservazioni del gas intergalattico nell’universo primordiale, informazioni che intendo interpretare con le mie simulazioni.»

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