Studio sull’impatto del disgelo del permafrost sul ciclo dell’azoto
Le caratteristiche del termocarsismo(si apre in una nuova finestra) compaiono dove si scioglie il permafrost ricco di ghiaccio. Mentre il terreno ghiacciato si scongela lentamente, i cunei di ghiaccio, spesso larghi diversi metri, si sciolgono rapidamente. Questo rapido scioglimento può far crollare il terreno, causando erosione lungo la costa o formando molte depressioni che si riempiono d’acqua (ad es. piccoli laghi) nelle zone interne.
Processi termocarsici e riscaldamento globale
I processi termocarsici, tuttavia, non riguardano solo il paesaggio artico, ma possono anche ripercuotersi sui cambiamenti climatici. «Nel permafrost vengono intrappolati resti vegetali e quindi anche carbonio e azoto organici», spiega Nicolas Valiente, borsista del progetto NITROKARST(si apre in una nuova finestra), dell’Università di Castiglia-La Mancia(si apre in una nuova finestra), in Spagna. «Il suolo del permafrost contiene una delle più grandi riserve di carbonio organico e di azoto a livello mondiale. Quando i suoli e le misture di ghiaccio e terreno si scongelano, la materia organica complessa diviene disponibile e i microbi si attivano, degradando questi composti. Di conseguenza, producono gas serra che favoriscono il riscaldamento climatico: anidride carbonica, metano e protossido di azoto ». Il progetto NITROKARST, coordinato dall’Università di Vienna(si apre in una nuova finestra), in Austria, e sostenuto dal programma di azioni Marie Skłodowska-Curie(si apre in una nuova finestra), ha cercato di comprendere meglio i meccanismi di fondo del ciclo microbico dell’azoto nei suoli caratterizzati da termocarsismo. «Il protossido di azoto è un gas a effetto serra con un potenziale di riscaldamento pari a 273 volte(si apre in una nuova finestra) quello dell’anidride carbonica», spiega Valiente. «I microbi ricavano energia dall’azoto rilasciato durante la decomposizione del materiale organico e producono protossido di azoto derivante dal loro metabolismo. Ad oggi, non sappiamo ancora come avvengono questi processi nei paesaggi termocarsici.»
Raccolta di campioni nell’Artico canadese
Per svelare questo mistero, Valiente e i suoi colleghi si sono recati nell’Artico canadese, in particolare a Inuvik, nei Territori del Nord-Ovest, per due settimane di lavoro sul campo. In questo periodo sono stati raccolti campioni di terreno a varie profondità e in diversi stadi del processo termocarsico. «Presso il Western Arctic Research Centre(si apre in una nuova finestra) di Inuvik, abbiamo scongelato alcuni di questi campioni per diversi giorni, per simulare il disgelo naturale», aggiunge Valiente. «Abbiamo poi aggiunto ai campioni proteine con azoto marcato e li abbiamo incubati in contenitori ermetici.» Dopo alcuni giorni, il team del progetto ha analizzato i campioni per individuare le trasformazioni microbiche. Inoltre, i campioni sono stati riportati a Vienna per ulteriori analisi.
Migliore comprensione dei processi di riciclo dell’azoto
«Dai nostri risultati iniziali è emerso che i processi di riciclo dell’azoto variano con la profondità e la progressione degli stadi termocarsici», spiega Valiente. «Nello strato attivo (lo strato superiore del suolo che si scongela durante l’estate), dove la disponibilità di azoto è limitata, sembra che i microbi tendano ad assorbirlo e a immobilizzarlo.» Per contro nel permafrost, dove le riserve di azoto sono maggiori, l’azoto viene utilizzato innanzitutto per la mineralizzazione(si apre in una nuova finestra). «Anche se non abbiamo rilevato una produzione notevole di protossido di azoto nei nostri esperimenti condotti in 9 giorni, l’azoto mineralizzato può essere utilizzato come fonte di energia da cui deriva la produzione di protossido di azoto come sottoprodotto delle vie microbiche», osserva Valiente. In questo ambito, una migliore comprensione dei processi microbici in atto ha aperto la strada a ulteriori ricerche. Una prossima fase di rilievo, dice Valiente, sarà quella di individuare i microrganismi responsabili delle trasformazioni dell’azoto, avvalendosi delle tecniche di genomica(si apre in una nuova finestra). «Sarebbe anche utile verificare se la produzione di protossido di azoto, come sottoprodotto di altri processi, diventi elevata nelle regioni del permafrost ricche di ghiaccio in fase di scongelamento (soggette a termocarsismo) nel lungo periodo», conclude.