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Understanding selective neuronal vulnerability in Alzheimer’s disease

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Comprendere i geni e i meccanismi alla base del morbo di Alzheimer

Utilizzando un approccio a livello di sistema, alcuni ricercatori promuovono la capacità di prevedere con precisione i geni e i meccanismi associati al morbo di Alzheimer, un passo importante verso la ricerca di una cura per questa debilitante malattia.

Con oltre 50 milioni di persone interessate in tutto il mondo, il morbo di Alzheimer è la causa più comune di demenza. E con un nuovo caso diagnosticato ogni 3 secondi, è anche un’epidemia in rapida crescita. Di fatto, secondo alcune stime, il numero di casi di morbo di Alzheimer dovrebbe triplicare entro i prossimi 30 anni. Nonostante quasi un secolo di tentativi volti a sviluppare nuove terapie come cura per la malattia, finora tutte le sperimentazioni cliniche hanno fallito. «Ciò evidenzia la necessità di identificare i meccanismi molecolari che guidano la malattia sin dalle sue prime fasi, dove il potenziale di intervento e modifica è maggiore», afferma Patricia Rodriguez(si apre in una nuova finestra), docente assistente presso il Karolinska Institute(si apre in una nuova finestra) in Svezia. Con il supporto del progetto NEVULA, finanziato dall’UE, Rodriguez si propone di raggiungere proprio tale obiettivo. «Grazie a una migliore comprensione dei geni e dei meccanismi che possono portare al morbo di Alzheimer, speriamo di aumentare la nostra capacità di diagnosticare precocemente la malattia e contribuire allo sviluppo di nuovi interventi terapeutici per curarla», aggiunge.

Colmare una lacuna di conoscenza

Come spiega Rodriguez, uno dei principali segni patologici del morbo di Alzheimer è la formazione di grovigli neurofibrillari, aggregati della proteina tau che si trova nel cervello. Il progetto NEVULA si è concentrato su uno strato specifico di neuroni che sviluppano grovigli neurofibrillari nelle prime fasi del morbo di Alzheimer e che si trovano nei neuroni del 2° strato della corteccia entorinale del cervello. I neuroni del 2° strato della corteccia entorinale hanno suscitato particolare interesse per i ricercatori essendo i primi a degenerare nel morbo di Alzheimer. «Sorprendentemente, sappiamo molto poco sul motivo per cui queste specifiche cellule sono particolarmente vulnerabili alla degenerazione», spiega Rodriguez. Secondo Rodriguez, questa lacuna di conoscenza è stata una delle maggiori sfide nello studio, e nel trattamento, del morbo di Alzheimer. «Il nostro obiettivo era comprendere i meccanismi che portano alla comparsa precoce dei grovigli neurofibrillari e alla degenerazione dei neuroni del 2° strato della corteccia entorinale», osserva. Per raggiungere tale obiettivo, i ricercatori hanno utilizzato un approccio di biologia dei sistemi. Integrando i dati della genomica funzionale umana nella biologia dei neuroni del 2° strato della corteccia entorinale, questo approccio consente di evidenziare specifici geni associati alla malattia. Sulla base di questo processo, il progetto ha identificato quattro moduli funzionali responsabili della formazione di grovigli neurofibrillari nel morbo di Alzheimer. «Abbiamo selezionato diversi geni candidati da questi moduli e ne abbiamo manipolato i livelli, sia in vivo che in vitro, per determinare il loro ruolo nella funzione del neurone della corteccia entorinale e se portano ad alterazioni patologiche associate al morbo di Alzheimer», afferma Rodriguez.

Aprire la porta a ulteriori ricerche

Uno dei geni identificati è un proto-oncogene con una funzione precedentemente sconosciuta nei neuroni. I ricercatori del progetto hanno scoperto che questo gene regola la plasticità e l’eccitabilità neuronali e la sua carenza porta ad accumulo di proteina tau nei neuroni del 2° strato della corteccia entorinale. «Il nostro lavoro ha dimostrato che il nostro approccio a livello di sistema è uno strumento utile per prevedere con precisione geni e meccanismi associati al morbo di Alzheimer», conclude Rodriguez. «Ha anche aperto la porta a ulteriori ricerche che, in definitiva, potrebbero portare a una cura per questa debilitante malattia.» Rodriguez prevede di continuare la sua ricerca sui meccanismi che portano alla degenerazione precoce dei neuroni del 2° strato della corteccia entorinale nel morbo di Alzheimer. Basandosi sui numerosi collegamenti che ha stabilito durante la sua borsa di ricerca Marie Skłodowska-Curie(si apre in una nuova finestra), Rodriguez intende concentrare specificamente il suo lavoro su dove convergono diversi fattori di rischio genetici e non genetici per attivare la vulnerabilità dei neuroni del 2° strato della corteccia entorinale.

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