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Sensitivity of human tumors to T cell attack

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Approfondire i meccanismi dell’immunità cancro-specifica

La scoperta del progetto SENSIT circa la possibilità di prevedere la risposta dei pazienti agli anticorpi che bloccano il checkpoint immunitario, in base alle proprietà del loro tessuto tumorale, ha importanti implicazioni terapeutiche.

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La possibilità che il sistema immunitario, in particolare i linfociti T, possa fermare la crescita delle cellule tumorali umane è stata lungamente dibattuta. Un lavoro recente ha rivelato che in un numero significativo di tumori umani viene effettivamente avviata una risposta dei linfociti T, soprattutto nei tumori che presentano danni più consistenti a carico del DNA, facendo apparire le cellule tumorali maggiormente «estranee» al sistema immunitario. Secondo Ton Schumacher, coordinatore del progetto SENSIT: «Le prossime domande chiave sono: in che modo esattamente quest’attività dei linfociti T influisce sul comportamento delle cellule tumorali? E come rispondono i tumori?» Per affrontare tali questioni, SENSIT, finanziato dal Consiglio Europeo della Ricerca, ha esaminato l’interazione tra cellule immunitarie e cellule tumorali nel tessuto canceroso umano. «Abbiamo scoperto che quando i linfociti T si attivano inviano segnali che alterano il tessuto tumorale in modo generico, a notevole distanza, anziché limitarsi a uccidere solo le cellule tumorali con cui interagiscono direttamente», spiega Schumacher, del Netherlands Cancer Institute e dell’Università di Leida, sede del progetto.

Sviluppo di piattaforme di indagine

SENSIT si è avvalso di tre approcci complementari orientati allo sviluppo di nuove piattaforme tecnologiche. La tecnologia di screening genetico è stata utilizzata per identificare i processi che controllano l’espressione di PD-L1 e CD47, due regolatori chiave espressi nel tessuto tumorale che sopprimono l’attività delle cellule immunitarie (noti anche come «checkpoint immunitari»). Il team ha dimostrato che l’espressione di PD-L1 è controllata da una proteina chiamata CMTM6 e che le tecniche per intervenire su questa sono potenzialmente in grado di alterare l’espressione del checkpoint PD-L1, interessando così la funzione dei linfociti T. Per quanto riguarda CD47, è stato dimostrato che la sua capacità di legarsi al proprio ligando, sopprimendo così l’attività delle cellule immunitarie, è controllata da un enzima. Questi risultati suggeriscono la possibilità di sopprimere l’attività del checkpoint immunitario CD47 per mezzo di piccole molecole che inibiscono questo enzima, potenziando così l’attività delle cellule immunitarie. Inoltre, SENSIT ha sviluppato e impiegato una tecnologia che ha tracciato il modo in cui le citochine secrete dai linfociti T in seguito all’attivazione, influiscono sulle cellule tumorali adiacenti o più lontane dal sito di attività dei linfociti T. «In precedenza si riteneva che le citochine agissero innanzitutto sulla cellula bersaglio riconosciuta da un linfocita T, ma oggi abbiamo dimostrato che la secrezione di interferone gamma (IFNg) agisce come “sistema di allarme”, influendo sull’attività delle cellule tumorali a notevole distanza, incrementando l’espressione degli antigeni e rendendo le cellule tumorali più visibili ai linfociti T», afferma Schumacher.

Valutazione dell’immunoterapia

Per valutare quali siano gli effetti degli interventi immunoterapeutici sull’attività delle cellule immunitarie nel tessuto tumorale umano, il team ha creato inoltre una specifica piattaforma ex vivo per la coltura dei tumori umani. Grazie ad essa, si è dimostrato che gli anticorpi terapeutici che bloccano l’attività del checkpoint immunitario PD-L1 attivano l’immunità nelle colture di tumori umani, evidenziando una correlazione con l’effettiva risposta clinica dei pazienti. «Contrariamente all’idea che i linfociti T all’interno del tumore siano esauriti, il che implicherebbe invece il coinvolgimento dei linfociti T degli organi linfatici, molti di questi effetti dell’immunoterapia sono in realtà dovuti alla riattivazione dei linfociti T nella sede del tumore», osserva Schumacher. «Inoltre, abbiamo identificato diverse proprietà delle cellule immunitarie che prevedono la capacità di riattivare i linfociti T dei tumori umani attraverso l’inibizione del checkpoint PD-L1.»

Contribuire alla selezione dei pazienti

Uno dei possibili contributi del progetto SENSIT potrebbe riguardare l’individuazione dei pazienti con maggiori probabilità di trarre beneficio dall’immunoterapia, offrendo parallelamente un punto di partenza per individuare i trattamenti antitumorali più efficaci per chi presenta minori probabilità di risposta. «Inoltre, ciò che abbiamo scoperto sulla ridefinizione del microambiente tumorale attraverso la secrezione di citochine potrebbe contribuire allo sviluppo di immunoterapie più efficaci», aggiunge Schumacher. Per sviluppare ulteriormente questa scoperta, Schumacher suggerisce di condurre studi sulle differenze tra singoli pazienti per quanto riguarda la portata di questi segnali nel tessuto tumorale e il loro effetto paziente-specifico su di esso.

Parole chiave

SENSIT, linfociti T, citochine, cancro, tumore, genetico, immunoterapie, immunitario, paziente

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