Pesce zebra nella lotta contro la tubercolosi
Attualmente, il trattamento della TBC comporta la somministrazione di un ciclo di farmaci chemioterapici. Tuttavia, per superare i problemi di resistenza ai farmaci, vengono presi in considerazione nuovi approcci terapeutici che includono trattamenti mirati all’ospite. Una migliore comprensione della risposta immunitaria innata e dei meccanismi che il patogeno utilizza per manipolare le difese dell’ospite potrebbe aumentare le possibilità di migliorare le strategie terapeutiche esistenti per la TBC. L’autofagia è recentemente emersa come un meccanismo di difesa fondamentale dell’ospite, in grado di contrastare la capacità del Mycobacterium tuberculosis di sopravvivere all’interno delle cellule ospiti. Attraverso un meccanismo mediato dall’autofagia, i batteri sono destinati alla degradazione. Si ritiene inoltre che l’autofagia controlli le risposte infiammatorie, ma l’interazione tra infiammazione e autofagia nelle difese dell’ospite contro la TBC rimane poco chiara. Verso questo obiettivo, il progetto Inflammafish, finanziato dall’UE, ha impiegato il comprovato modello pesce zebra della TBC per studiare l’infiammazione e l’autofagia, due processi fondamentali per la patogenesi della TBC. Autofagia e infiammazione durante l’infezione «L’obiettivo della proposta di Inflammafish era quello di ottenere indizi sui meccanismi di difesa dell’ospite contro la TBC e identificare nuovi bersagli terapeutici», spiega la coordinatrice del progetto, la prof.ssa Annemarie Meijer. A tal fine, il gruppo di ricerca scientifico ha utilizzato il pesce zebra in quanto costituisce un eccellente strumento per visualizzare tali processi in vivo. Il lavoro precedente del gruppo aveva scoperto che il modulatore dell’autofagia regolato dai danni al DNA (DRAM1) protegge contro la TBC nel modello pesce zebra. Gli scienziati hanno anche implicato questo importante regolatore dell’autofagia nell’infiammazione, in quanto hanno scoperto che influenza fortemente l’espressione dell’interleuchina-1beta. Incredibilmente, sembra che la deregolazione di uno dei percorsi sia sufficiente per influenzare l’esito dell’infezione da Mycobacterium tuberculosis. Quando la risposta autofagica dell’ospite è carente, i batteri progrediscono all’interno dell’ospite. È importante sottolineare che gli scienziati hanno osservato che il patogeno può manipolare la risposta infiammatoria a proprio vantaggio, aumentando la diffusione dell’infezione inducendo la morte pro-infiammatoria delle cellule infette. La manipolazione di una delle proteine chiave del percorso infiammatorio può quindi aiutare ad affrontare l’infezione. Verso nuove terapie «Collettivamente, i nostri risultati hanno dimostrato che la risposta infiammatoria e l’autofagia vengono entrambe attivate e sono necessarie per una difesa efficace durante l’infezione da TBC», sottolinea la dott.ssa Monica Varela, la ricercatrice del Marie Curie che ha realizzato questo progetto. Il lavoro in corso è incentrato sull’interazione di questi percorsi con diversi meccanismi di morte cellulare per determinare il destino dei macrofagi infetti e quindi l’esito dell’infezione. Inoltre, il team Inflammafish è intenzionato a studiare gli effetti a livello genomico della modulazione dell’autofagia sulla risposta infiammatoria, che aiuterà a identificare nuovi target per la terapia della TBC. I futuri sforzi di ricerca si concentreranno sullo sviluppo di nuove strategie per il trattamento della TBC utilizzando modulatori chimici dei percorsi di autofagia e infiammazione. L’avanzamento delle conoscenze attuali sui percorsi regolatori dell’ospite che potrebbero potenzialmente essere manipolati contribuirà a sviluppare nuove possibilità di trattamento per la TBC come per altre patologie con caratteristiche simili. La prof.ssa Meijer prevede «futuri farmaci anti-TBC per intervenire sull’interazione ospite-patogeno, superando i problemi di resistenza associati alle attuali modalità di trattamento».
Parole chiave
Inflammafish, tubercolosi (TBC), autofagia, infiammazione, pesce zebra